La Nuova Sardegna

Monceri: «L’agroalimentare è il futuro»

di Claudio Zoccheddu

Oggi il convegno ad Alghero sulle prospettive di un settore destinato a diventare il traino dell’economia isolana

26 aprile 2017
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SASSARI. Il motore funziona ma le prestazioni devono essere ottimizzate. Secondo Pierluigi Monceri, direttore di Intesa San Paolo per il Lazio, la Sicilia e la Sardegna, il classico bicchiere che misura l’ottimismo dell’osservatore è mezzo pieno. Il settore agroalimentare sardo sarebbe una gallina dalle uova d’oro che deve solo imparare i segreti della cova. E i numeri, che verranno presentati oggi ad Alghero in un convegno sull’agroalimentare organizzato da intesa San Paolo alle 11.30 nella cantina Santa Maria La Palma, sono la conferma di un punto di vista indica la strada per la riscossa di un settore che occupa 44mila persone, il 7,3 per cento del totale. Nemmeno troppe se si considera che l’isola non teme confronti quando invece si parla di Sau, la superficie agricola utilizzata: 22 ettari contro una media nazionale media ferma a 8,4.

Esiste una differenza tra la produzione agroalimentare e l'industria di settore?

«Si ma si deve considerare l’esiguo peso specifico dell’industria sarda. C’è un aspetto positivo: il ritardo deve essere valutato nel rapporto con il resto della nazione. In realtà tutto il settore agroalimentare è molto importante ed è in crescita nonostante la crisi».

Le difficoltà hanno fermato la crescita dell’export?

«No e questo è uno dei segnali positivi, anche se fortemente condizionato dal mercato del pecorino romano. Rispetto al 2010, l’export dei prodotti lattiero-caseari è cresciuto del 56,2 per cento, quello delle bevande del 20,4 per cento e quello dei prodotti da forno addirittura del 256 per cento. Purtroppo sono calate le esportazioni della carne lavorata che hanno perso il 23,5 per cento».

Sono state censite 189 produzioni agroalimentari ma solo 10 sono certificate. Quanto pesa la qualità nei mercati?

«In Sardegna c’è una sensibilità verso la qualità superiore al resto del Paese e 15mila aziende si occupano di produzioni d’eccellenza. Purtroppo, le realtà produttive non riescono a competere sui mercati perché capaci di produzioni esigue che non soddisfano le richieste».

L’associazionismo può essere la ricetta per ottenere la competitività che manca?

«Certamente. I presupposti su cui sarà necessario lavorare e investite in futuro sono le filiere e le reti d’impresa. Per conquistare fette significative dei mercati esteri è necessaria anche la quantità oltre alla qualità».

Qual è l’incidenza dell’export sui fatturati delle imprese sarde?

«Il dato è significativo: la voce incide per l’11 per cento e le aziende sarde sono attardate rispetto a quelle del resto del Paese. Il gap, però, non è incolmabile. I dati degli ultimi anni descrivono una crescita interessante, nonostante il dato resti basso. E le capacità produttive delle piccole imprese non aiutano».

Anche la redditività delle aziende è bassa. Perché?

«In questo caso, oltre alla questione dimensionale, si paga il ritardo negli investimenti: le aziende non sono progredite per tempo e la mancata crescita, anche delle infrastrutture, ha causato il ridimensionamento della capacità di produzione e di esportazione».

Produzioni qualitativamente ineccepibili e tre milioni di pecore a disposizione. La filiera del latte ovino, però, è in crisi. Di chi è la colpa?

«Il settore ha risorse straordinarie e può contare su un elevatissimo grado di competenza oltre che sulla qualità del prodotto. Nonostante i presupposti siano ottimi, manca l’associazionismo e manca una logica condivisa sul prezzo del latte. Per combattere la crisi è necessario creare un fronte comune».

Uniti si vince, dunque. Ci sono altri aspetti da approfondire per presentare un’offerta competitiva?

«Certo, l’innovazione non può e non deve essere dimenticata. Siamo nell’era del digitale e tutti ne siamo coinvolti, produttori e consumatori. Le aziende non possono far finta di nulla».

L’esempio arriva dalla filiera dell’uva e del vino?

«Da tre anni a questa parte c’è stata una crescita significativa del fatturato che, nell’ultimo biennio, è stata migliore di quella registrata nel Mezzogiorno e nel resto d’ItaliaNell’ultimo anno il fatturato delle imprese sarde è crescituo del 5 per cento rispetto al 3,2 del Mezzogiorno e al 2,5 della media italiana. Anche l’export è aumentato più che nella media nazionale, con un 5,8 per cento a fronte di un 4,3 nel resto del Paese».

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