La Nuova Sardegna

Ancora troppi parti cesarei, la Sardegna è in coda in Europa

Una sala parto
Una sala parto

Con il suo 38 per cento l'isola è lontana dagli standard internazionali. L’appello del ginecologo irlandese Robson: «È più sicuro il parto naturale»

28 marzo 2017
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CAGLIARI. La sicurezza, prima di tutto. Poi del resto si può discutere ma sempre e comunque nel pieno rispetto di «chiare e verificate regole scientifiche». L’irlandese Michael Robson è un’autorità internazionale quando in un dibattito il confronto è sui «punti nascita». Tanto ascoltato che l’Organizzazione mondiale della sanità ha preso a modello le sue dieci regole su quando sia necessario, dal punto di vista clinico, il taglio cesareo.

«Non è un problema di quanti sono gli interventi chirurgici in un anno, ma di sicurezza, dev’essere totale, per la madre e il bambino», ha detto il ginecologo del National maternity hospital di Dublino nel confrontarsi con i medici sardi. Un confronto organizzato dall’assessorato alla sanità e dalle università di Cagliari e Sassari. La necessità e mai l’abuso, è il messaggio lanciato da Robson in una regione dove nel 2015 i cesarei sono stati 4.250 su 10.684, quasi il 40 per cento. «Sono ancora troppi. Il parto naturale deve ritornare a essere la priorità», hanno detto gli esperti del ministero della salute collegati in teleconferenza da Roma.

Anche se in Sardegna qualcosa comincia a cambiare: l’anno scorso, la percentuale è scesa di quasi due punti e non mancano le eccellenze con standard europei, è il caso della clinica dell’ospedale universitario di Cagliari, perché «finalmente la campagna d’informazione fra i medici e le partorienti è efficace». È stata così da capillare, la campagna, da sfatare ad esempio il mito che il taglio cesareo sia più sicuro di quello naturale. È bastata una statistica sulla mortalità in un caso e nell’altro a smentire la notizia che gira ancora in molti ospedali.

«Sono le statistiche – è stato detto nel convegno di Cagliari – a confermare che più alto è il numero d’interventi chirurgici, più alta è la percentuale di rischio, può arrivare fino al doppio». Perché se la sala operatoria può essere evitata «è sempre meglio quando c’è di mezzo la sicurezza», ha ribadito Robson nell’elencare i dieci casi in cui «invece il cesareo è necessario secondo definite classi di rischio». Com’è nel caso di una gravidanza inferiore alle 37 settimane, oppure di un nascituro in «posizione podalica», cioè con il sedere in basso e la testa in alto nella pancia della madre. Esclusi questi fattori e gli altri otto elencati dal ginecologo irlandese nella sua classifica, il parto naturale «è una garanzia proprio perché naturale».

L’Italia è ancora lontana dai parametri europei: nei Paesi Bassi, che sono al top, la percentuale dei cesarei non supera il 12 per cento, mentre in Campania arriva addirittura al 62. «La Sardegna sta nel mezzo – ha detto l’assessore Luigi Arru – Siamo messi meglio rispetto al resto del Mezzogiorno, ma sempre distanti dalle perfomance nazionali, come il 23 per cento del Friuli». C’è una direttiva del ministero che vorrebbe questo: ridurre a due i cesarei ogni dieci parti. Di recente una rivista specializzata ha obiettato che «al massimo potranno diminuire fino al 30 per cento», ma non per questo «dev’essere interrotta la campagna di sensibilizzazione a favore del parto naturale».

Ora l’obiettivo dell’assessorato è applicare le regole di Robson. «Dobbiamo aumentare al massimo la sicurezza – ha detto Arru – e ridurre al minimo i rischi». E dalle nostre parti c’è un richiamo immediato al caso di La Maddalena e alla clamorosa protesta della future mamme con le loro pance-manifesto per la chiusura del punto nascita sull’isola. La risposta da parte della Regione potrà e dovrà essere una sola: tutte le donne in attesa devono avere la certezza che il servizio di elisoccorso verso l’ospedale di Olbia, attrezzato per le emergenze, ci sarà sempre e comunque.

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