La Nuova Sardegna

Binaghi, lettera-appello dei malati

Un gruppo di pazienti affetti da sclerosi multipla denuncia i disagi nel reparto

25 marzo 2017
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CAGLIARI. L’assessore Luigi Arru ha dato rassicurazioni sul futuro del Binaghi, ma per i pazienti, gli oltre 4mila ammalati di sclerosi multipla, le sue parole non bastano. E così un nutrito gruppo di pazienti del centro di Cagliari ha preso carta e penna e ha chiesto ancora una volta che al Binaghi venga ripristinata la situazione esistente fino a qualche settimana fa, con tutto il personale, oggi dimezzato, al proprio posto. «In Sardegna si contano circa 7mila ammalati di sclerosi multipla – scrivono –. L'unico centro di riferimento è quello del Binaghi. Il reparto, oltre a diagnosticare e curare la malattia, si occupa anche della ricerca, a livello internazionale, essendo la nostra regione una delle più colpite al mondo». Secondo i pazienti tutto ha iniziato a cambiare un anno fa, quando la giunta ha tagliato un milione di euro al reparto e la storica direttrice Marisa Marrosu ha rassegnato le dimissioni. «Noi la abbiamo invitata a riflettere perché per noi era una figura molto importante. Lei ha così presentato una richiesta di reintegro in servizio, ma ha ottenuto una netta risposta negativa. Ci siamo rivolti anche al rettore dell’università di Cagliari, ma non era più possibile fare marcia indietro. Stupiti della celerità con cui era stata trattata la pratica, abbiamo chiesto che la professoressa rimanesse nel Centro come volontaria. Come era stato concesso in altre regioni a medici in pensione. Ma dalla Regione non è stata data alcuna autorizzazione».

Nel frattempo, nella lettera si riportano le indiscrezioni sulla chiusura del reparto del Binaghi, ma anche l’immediata risposta della Regione, che aveva parlato di notizie infondate. «Ma ai primi di marzo abbiamo scoperto che parte del personale non era più presente e le visite, se non urgenti, venivano rinviate a data da destinarsi. Il reparto è rimasto sguarnito di 8 unità, comportando così una impossibilità, per i pochi medici rimasti, di operare nei modi e nei tempi che questa patologia comporta. Siamo arrivati a un punto che, i pochi rimasti, sebbene lavorino incessantemente, come hanno sempre fatto, di fatto non riescono a sopperire alle richieste e alle esigenze, come prima. E a farne le spese è sempre e solo l'ammalato».

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