La Nuova Sardegna

Dorgali, il mistero dei bronzetti: nei guai l’ex direttore Delussu

di Paolo Merlini
Fabrizio Delussu
Fabrizio Delussu

L’archeologo ha diretto il museo nel periodo in cui sono comparsi nuovi reperti. I punti da chiarire della sua nomina, poi revocata, alla guida dell’area archeologica di Ostia Antica

09 marzo 2017
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INVIATO A DORGALI. L’abusato accostamento tra archeologi “militanti” e Indiana Jones probabilmente non dispiace a Fabrizio Delussu, il 49enne dorgalese che negli ultimi tempi ha conquistato notorietà per la fulminea direzione del parco di Ostia Antica, durata neppure un mese. Non tanto per l’abbigliamento con cui si fa immortalare – abiti di foggia militare con una preferenza per le tonalità coloniali – ma per il carattere decisionista testimoniato da chi ha lavorato con lui, assieme a una buona dose di sfrontatezza. In una professione che oggi si svolge spesso davanti a un computer, Delussu è un archeologo che ama i cantieri di scavo e si sporca le mani. Anche troppo, secondo alcuni.

L’inchiesta. Da qualche giorno sul tavolo del sostituto procuratore della Repubblica Manuela Porcu c’è un fascicolo firmato dal capitano dei carabinieri Paolo Montorsi del nucleo Tutela del patrimonio culturale di Cagliari. È il risultato dell’indagine avviata a settembre sul museo archeologico di Dorgali, diretto sino a pochi mesi prima, e per quattro anni, proprio da Delussu. Inchiesta che ha al centro una ventina di reperti archeologici di vari periodi. Il fatto singolare è che non riguarda la scomparsa dei reperti, ma la loro inspiegabile apparizione nelle vetrine del piccolo museo dorgalese. Al momento della riconsegna dei locali, si è scoperto che numerosi oggetti (tra i quali anfore romane, pendagli di bronzo e un’antica stadera) erano privi di documentazione, e la loro esistenza non era stata comunicata alla Soprintendenza o ai carabinieri, come impone la legge (che fissa un termine di 24 ore dal ritrovamento). In caso contrario si rischia di incappare nei reati di ricettazione, scavi clandestini e impossessamento di beni culturali dello Stato. I reperti, dicono i responsabili della coop Ghivine, sono comparsi nell’ultimo anno della direzione Delussu. Ma quest’ultimo è indagato? E nel caso per quale reato? Impossibile saperlo al momento, per il riserbo degli inquirenti, né conferme o smentite arrivano dall’interessato che ha annunciato un comunicato del proprio legale che ancora si fa attendere.

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Il curriculum. A far saltare la nomina a direttore di Ostia Antica, decisa l’8 febbraio scorso dal ministero dei Beni culturali, è stata con tutta probabilità una lettera inviata al responsabile del procedimento dal vice presidente della coop Ghivine, Gianpier Cucca. Il quale, oltre a segnalare il caso dei reperti privi di documentazione, contestava come falso un passo del curriculum di Delussu, dove l’archeologo affermava di essere il direttore scientifico della cooperativa Ghivine, che aveva in gestione il museo e i siti archeologici di Nuraghe Mannu, Nuraghe Arvu, Serra Orrios e Tiscali. Tra la coop e Delussu non corre buon sangue dal febbraio 2016, quando la Ghivine ha perso dopo vent’anni la gestione dei siti. Gestione poi riassegnata con una nuova gara dall’amministrazione Cinque Stelle, subentrata a giugno alla giunta guidata da Angelo Carta, grande sponsor di Delussu.

Misteriose consulenze. In realtà sarebbero numerose le stranezze del curriculum, tali da aver attirato su Delussu l’interesse del mondo archeologico romano vista l’importanza dell’incarico che andava ad assumere (stipendio lordo 78mila euro l’anno più un premio di risultato di 7500: un bel balzo in avanti rispetto ai diecimila del museo dorgalese). A cominciare dalla “consulenza scientifica” per l’allestimento della Crypta Balbi, smentita dal dipartimento di antichità della Sapienza, secondo cui la partecipazione di Delussu si sarebbe limitata a 5 schede per un catalogo; per continuare con asserite “responsabilità scientifiche” in importanti lavori di restauro di opere romane. Anche in Sardegna, comunque, l’archeologo avrebbe infiorettato il proprio curriculum, arricchendolo con numerose “direzioni di scavo” che in realtà sono più semplicemente responsabilità di cantiere: dal nuraghe Arvu a Dorgali sino all’insediamento romano di Sant’Efis a Orune. Un caso un po’ spinoso, quest’ultimo, perché il cantiere operò per diversi mesi senza l’autorizzazione della Soprintendenza e dovettero intervenire i carabinieri per sospendere gli scavi.

Nel frattempo il Mibac dà il via alle verifiche che forse avrebbe dovuto compiere in precedenza. Il 2 marzo la retromarcia in un comunicato: «Informazioni e elementi pervenuti all’amministrazione successivamente alla conclusione della procedura di selezione hanno fatto venir meno i presupposti per la nomina». Addio incarico.

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