La Nuova Sardegna

Un sassarese a San Patrignano: «Dalla droga a manager del vino»

di Silvia Sanna
Giuseppe Giannasi, il quarto da sinistra, insieme agli altri laureati in Psicologia nella comunità di San Patrignano
Giuseppe Giannasi, il quarto da sinistra, insieme agli altri laureati in Psicologia nella comunità di San Patrignano

Giuseppe Giannasi, 43 anni, è uno dei primi laureati in Psicologia della comunità di recupero Arrivato nel 2006, oggi è il responsabile delle vigne e della cantina e coordina il lavoro di 60 ragazzi

02 marzo 2017
4 MINUTI DI LETTURA





SASSARI. Basta guardarli negli occhi per leggere le cose non dette. È un po’ come stare di fronte a uno specchio e osservare la tua vita vissuta da un altro. Oggi Giuseppe ascolta e ti guarda fisso. Capisce i silenzi, le bugie, coglie un disagio profondo ma non ancora consapevole. Per tirarlo fuori serve aiuto: c’è bisogno di qualcuno che ti tenda una mano, altrimenti ti ritrovi ad annaspare come nelle sabbie mobili, sino a che manca il fiato. Giuseppe Giannasi quell’aiuto l’ha avuto. Ha 43 anni, è di Sassari e la sua è una storia di resurrezione. Alle spalle una famiglia solida, ricca di affetto e in grado di dare certezze. Lui però si era perso. Ha quasi toccato il fondo e dal buio è risalito grazie alla mano che gli è stata tesa undici anni fa, dopo una notte trascorsa in cella nel carcere di San Sebastiano a Sassari. Spaccio di droga, eroina e cocaina: è il 9 gennaio 2006, all’alba del giorno dopo inizia l’altra vita di Giuseppe. Oggi fa l’educatore a San Patrignano, la casa che l’ha accolto. Si occupa delle vigne della comunità e si è laureato in Psicologia: è uno dei primi dottori tra i ragazzi usciti dalla tossicodipendenza. Un’altra vita, libera da ombre.

[[atex:gelocal:la-nuova-sardegna:site:1.14967808:gele.Finegil.Image2014v1:https://www.lanuovasardegna.it/image/contentid/policy:1.14967808:1653422473/image/image.jpg?f=detail_558&h=720&w=1280&$p$f$h$w=d5eb06a]]

[[atex:gelocal:la-nuova-sardegna:regione:1.14967748:gele.Finegil.StandardArticle2014v1:https://www.lanuovasardegna.it/regione/2017/03/02/news/un-oasi-gratuita-per-1300-giovani-1.14967748]]

L’inferno dentro. Giuseppe Giannasi ha iniziato a guarire quando ha ammesso di avere un problema. «Per anni ho fatto finta di niente – dice – non volevo o non riuscivo a interpretare quel senso di inadeguatezza che sentivo da ragazzino. Paura di non farcela, di deludere le aspettative. Un malessere che mi portò a scegliere compagnie che mi sembravano adatte, gruppi che come in un tacito accordo ti accolgono e non ti fanno domande. Il massimo per me, perché non ero in competizione con nessuno». Il suo rapporto con le droghe inizia presto. «Frequentavo l’istituto Agrario di Sassari, ero in quarta. I professori dissero ai miei genitori che mi comportavo in maniera strana. Loro all’inizio non ci volevano credere. Poi un controllo da parte dei carabinieri fece venire fuori tutto» I genitori lo spedirono in Goceano, a Bono, il paese del padre. «L’aria di montagna mi aiutò. Riuscii a diplomarmi e conobbi una ragazza. A 23 anni mi sposai, nacque una bambina. Ma ho distrutto tutto, dicevo bugie come tutti i tossici, andavo avanti tra eroina e cocaina. Il matrimonio è finito, io sono andato via insieme ai miei problemi». Sino a quella notte del 2006, quando Giuseppe Giannasi è stato arrestato. «Il giorno dopo mia madre ha contattato un’associazione di Porto Torres che opera in collaborazione con San Patrignano. Ha chiesto che cosa dovesse fare per salvare suo figlio. Dopo qualche mese sono arrivato qui, a Rimini, la mia nuova casa».

Regole e lavoro. L’inizio è stato traumatico, perché un tossicodipendente vive senza regole. E invece a San Patrignano «la mattina dovevo alzarmi presto, rifare il letto e andare a lavorare. Mi hanno assegnato alla falegnameria, mi occupavo della rifinitura dei mobili. Non potevo neanche andare al bagno da solo, mi sentivo in gabbia. Ho chiesto aiuto alla mia famiglia, in una lettera li ho supplicati di portarmi via, perché con quei tossici non c’entravo nulla. Ancora non avevo preso coscienza del problema». I genitori di Giuseppe, Tanina e Silverio, invece ne erano assolutamente consapevoli. Per questo quella lettera l’hanno rispedita al mittente. «Un gesto difficilissimo per loro, con il quale mi hanno salvato la vita». Perché Giuseppe ha capito di trovarsi di fronte a un bivio. E ha scelto di vivere.

La rinascita. Prima la falegnameria, dai mobili alla parte burocratica. «Ho iniziato a fidarmi degli educatori e ad amare questo posto. E San Patrignano ha iniziato a credere in me». Al nuovo Giuseppe sono stati affidati incarichi di responsabilità, dagli acquisti sino all’ufficio accoglienza, il cuore della comunità. Tre anni e mezzo dopo il suo arrivo ecco la vita allo specchio: «Parlavo con i ragazzi, facevo i colloqui con loro. Sentivo le storie, tutte diverse ma con una radice comune alla mia». Nel 2013 nuovo incarico: «Sono diventato il responsabile del settore vigna e cantina, coordino il percorso di 60 ragazzi, insieme ci prendiamo cura di 120 ettari in cui produciamo San Giovese, tagli bordolesi e vini internazionali». Giuseppe è tornato alla campagna, il suo primo amore, come in un ciclo che si chiude.

La laurea. I libri li amava anche prima di perdersi, racconta. Per questo studiare non è stato difficile. Giuseppe Giannasi è uno dei primi laureati in Psicologia a San Patrignano. Università telematica internazionale Uninettuno. Tesi su abusi e dipendenze, voto 105 su 110. Alla discussione c’erano i fratelli e i genitori, Tanina e Silverio. Negli occhi la commozione e l’orgoglio per quel figlio perso e risorto.

In Primo Piano
I controlli

In gita da Sassari a Nuoro senza assicurazione: nei guai il conducente di un pullman pieno di studenti

Le nostre iniziative