La Nuova Sardegna

La caccia al killer parte dall’ultimo messaggio

di Simonetta Selloni
La caccia al killer parte dall’ultimo messaggio

Gli inquirenti confermano che Angelo Palmas non è morto sul colpo L’inchiesta segue la “traccia” che l’allevatore agonizzante ha voluto lasciare

18 dicembre 2016
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BUSACHI. La vittima che riesce a lasciare un segnale, una traccia utile per identificare il suo assassino. Nella trama dei romanzi gialli accade, molto meno nella realtà dei fatti. Busachi non è lo sfondo di un’opera di Agatha Christie, le sue campagne sono il cuore del Barigadu teatro negli anni passati di una faida con almeno sei vittime. In quelle campagne giovedì scorso è stato ucciso Angelo Palmas, l’allevatore di 47 anni assassinato davanti al suo ovile-azienda da tre fucilate a pallettoni, la più letale rivolta alla testa, come ha evidenziato l’autopsia conclusa ieri dal medico legale Roberto Demontis. Ferite gravissime, mortali infatti; ma nel lasso di tempo trascorso tra le fucilate e la morte di Palmas sembrerebbe essersi insinuato un elemento del tutto nuovo e di notevole valenza dal punto di vista investigativo. Palmas avrebbe avuto il tempo di dare una qualche indicazione, durante un’agonia di cui sicuramente egli stesso ha percepito la gravità e l’imminente fine. Cosa fa un uomo che sta morendo di una morte violenta, se ha un barlume di forze residue? L’unica cosa ragionevole: provare a dare un’indicazione sul responsabile del delitto. Quanto chiara sia stata l’indicazione, quanto sia utilizzabile nell’economia dell’inchiesta condotta dalla Procura della Repubblica e affidata ai carabinieri di Ghilarza e Busachi, è difficile da sapere. Certo non lo dicono gli inquirenti, coordinati dal procuratore in persona, Ezio Domenico Basso. E tuttavia è stato lo stesso magistrato ad ammettere che Angelo Palmas non è morto subito dopo le ferite. L’allarme ai carabinieri lo ha dato un cacciatore, che passava per la stradina vicino al santuario di Santa Susanna; Palmas potrebbe esser stato ancora in vita, e aver avuto la possibilità di trasmettere qualcosa. Forse pochi secondi di lucidità, frammenti di parole chissà fino a quale punto comprensibili. Ma in una casistica da muretto a secco, elementi comunque preziosi in un delitto senza – apparentemente – testimoni. O meglio: nessun testimone ufficiale. Quella zona giovedì mattina era trafficata dai cacciatori. Ci sono aziende, ma non risulta che qualcuno abbia notato movimenti strani. E le fucilate sono la colonna sonora di una giornata di caccia, non una nota stonata nel silenzio dei giorni ordinari: non sembra casuale che l’assassino abbia scelto giovedì per entrare in azione.

Con questa traccia si misurano le indagini che vanno a scavare nel passato di Angelo Palmas. Nel suo coinvolgimento in uno degli omicidi della faida, quello di Cosimo Luigi Mele, dal quale era stato completamente scagionato. Gli ultimi dieci anni della sua vita, Palmas, li aveva trascorsi sotto traccia; nessun episodio di rilievo a lui ascrivibile. Dal giorno del delitto aziende e alcune case a Busachi, nel Barigadu e nel Guilcer sono state perquisite. Gli inquirenti hanno bussato alle porte di persone che nel passato si sono trovate nella fazione opposta a quella in cui la geografia giudiziaria aveva incasellato Palmas. Le persone sottoposte a indagine, una dicitura tecnica quando si compiono atti come perquisizioni, sono tutte in stato di libertà.

Ma i conti con quell’ultimo, estremo messaggio, bisogna farli. L’indagine dovrà prima di tutto provare a decifrarlo, e stabilire che dignità possa avere. E se servirà per non far diventare quello di Palmas un altro nome nell’elenco della lista dei delitti irrisolti.

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