La Nuova Sardegna

Una Borsa etica per salvare il grano duro

di Claudio Zoccheddu
Una Borsa etica per salvare il grano duro

Dalla filiera dei cereali sardi materie prime per la produzione di pane a pasta: «Adesso aspettiamo la risposta del mercato»

15 dicembre 2016
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SASSARI. Come Davide contro Golia. Nella speranza che l’esito sia lo stesso. La Borsa etica dei cereali sardi continua la sua scalata alla ricerca di un posto al sole da garantire a chiunque abbia voglia di scommettere sul grano sardo e sulla tradizione della panificazione.

L’idea è semplice: mettere in contatto l’offerta con la domanda puntando tutto sulla qualità del prodotto e sulla sua tracciabilità. L’unico modo, forse, per mettere i bastoni tra le ruote dei giganti dell’importazione che, a oggi, dominano anche in Sardegna, nonostante la qualità del grano isolano sia una dote riconosciuta sin dai tempi della dominazione romana.

«Al momento si sono iscritte una decina di aziende – spiega Efisio Rosso, delegato della cooperativa Madonna d’Itria di Villamar – a cui verranno proposte altrettante convenzioni. Adesso speriamo di ricevere tante altre adesioni». La “borsa” è aperta a tutti e, oltre ai produttori, deve coinvolgere anche i trasformatori: «In Sardegna ci sono più di trecento comuni, quasi tutti con un panificio. Se qualcuno volesse riscoprire uno degli ingredienti della tradizione non deve far altro che contattarci. Siamo molto attivi su internet e sui social network».

Nessun tentativo di sconvolgere il mercato, insomma. Piuttosto dalla “borsa” e dalla Filiera del grano duro sardo si propone di valorizzare le tradizioni dell’isola nel campo della pasta artigianale e della panificazione: «Anche per combattere il crollo della coltivazione del grano duro – continua Rosso – nei primi anni 2000 gli ettari coltivati erano 90mila, adesso sono meno di 35mila. Poi c’è il discorso della pasta e del pane di qualità. Nella nostra tradizione ci sono più di 400 tipi di pane che i panifici potrebbero proporre ai clienti garantendo la qualità di un prodotto che avrebbe un percorso di tracciabilità certo e riconoscibile anche con un marchio che verrà associato a tutti i frutti della trasformazione, artigianale o industriale».

Per combattere la diffusione del grano che arriva dai paesi dell’est europeo o dal Canada c’è un prezziario dettato da poche e semplici regole etiche che coinvolgono i produttori, chiamati a proporre un prezzo che non potrà più prescindere dalle rese dei campi. Un’innovazione che si traduce sul listino dei percorsi di filiera proposti ai produttori con una selezione di grano per la pasta a 28 euro al quintale e per il pane a 27. La semola, sarda e garantita, si attesta sui 61 euro al quintale. Per i circuiti commerciali il grado duro viene proposto a 25 euro al quintale mentre la semola non supera i 54 euro.

«Se il mercato rispondesse, questa potrebbe essere la ricette per sollevare un settore in crisi e per preservare tradizioni minacciate dal grano di importazione», conclude Efisio Rosso.

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