La Nuova Sardegna

Delitto di Is Mirrionis, la vittima faceva da paciere: ucciso per errore

di Mauro Lissia
Delitto di Is Mirrionis, la vittima faceva da paciere: ucciso per errore

Secondo una prima ricostruzione degli inquirenti, dopo una lite su Facebook Martin Aru potrebbe aver voluto sparare al fratello del giovane rimasto ucciso. Arrestato anche il padre del presunto omicida

11 ottobre 2016
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CAGLIARI. Ha preso male una battuta diffusa su Facebook, ha cercato l’autore, l’hanno finita a pugni, è andato via per tornare insieme al padre con una semiautomatica 7.65 infilata nella cintola. Con quella ha sparato alla persona sbagliata, è fuggito, ha cercato aiuto dalla fidanzata e infine ha teso i polsi ai carabinieri nello studio di un avvocato. Se davvero è stata quella frase lanciata nel mondo virtuale del social network a scatenare l’ira omicida del ventiquattrenne Martin Aru, il delitto di via Pertusola finirà dritto nella letteratura psichiatrica o almeno in uno di quei programmi televisivi grotteschi, dove si scava nel fango della violenza.

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Senza senso. Perché è difficile persino per professionisti avvezzi a vicende criminali, come i poliziotti e i carabinieri, rintracciare un senso nella decisione di quel ragazzo di vendicare uno scambio di impertinenze con un colpo di pistola sparato in bocca a uno come Sandro Picci, che si trovava là per caso, andando incontro al rischio di ergastolo. Eppure, per quanto restino ragionevoli dubbi sulla dinamica dell’omicidio, sembra che ad accendere la miccia della violenza siano state quelle poche parole rivolte ad Aru da un amico, riferite probabilmente a una vincita da centomila euro conseguita dal giovane: «Potete avere auto o soldi, ma la mia opinione rimarrà sempre la stessa. Buona giornata a tutti». La replica stizzita sembrava aver chiuso il confronto sul nascere: «Priogu sesi, priogu atturasa (pidocchio sei, pidocchio resti), l’invidia fa male». Il brutto invece doveva ancora arrivare.

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La ricostruzione. Il racconto, più articolato rispetto a quanto filtrato l’altra sera, è del dirigente della squadra mobile Alfredo Fabbrocini e del capitano del nucleo provinciale dei carabinieri Michele Cappa, che in una conferenza stampa seguita all’interrogatorio del presunto assassino hanno ricostruito i fatti, limitandosi a quelli accertati. È il primo pomeriggio di domenica: poche frasi su Facebook, subito dopo il confronto si trasferisce su una chat di whatsApp. Le parole salgono di tono, amici e conoscenti s’impegnano a spegnere le fiamme. Ma nella testa di Martin Aru, ragazzo senza macchie giudiziarie sulla coscienza, quella frase densa d’invidia frulla sino a produrre l’idea più sballata possibile: andare a cercarlo. Pochi minuti e da via Castelli, dove vive coi genitori, Martin punta su via Pertusola. Sa dove abita l’amico, lo incontra nel cortile del palazzo. Parlano, alzano la voce, altri partecipano alla scena. Alla fine il giovane si becca un pugno e s’allontana.

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La pistola. Ed è qui, in questa fase rovente, che la combina grossa: torna a casa e ne esce con una pistola che ha la matricola limata. Da chi l’ha avuta? Polizia e carabinieri ancora non lo sanno. Il seguito è il racconto di un delitto: il padre Massimiliano (48 anni), affidato in prova dopo una condanna a nove anni per spaccio, si affianca al figlio non prima di aver impugnato una zirogna. Tornano in via Pertusola, dove l’amico impertinente non c’è, ma c’è il fratello e c’è Picci. Buco nero su questa fase decisiva: ancora parole grosse, forse minacce. Il fatto certo è che Martin Aru tira fuori la 7.65 e spara. Polizia e carabinieri non riferiscono la distanza da cui parte il proiettile che colpirà Picci alla bocca, fermandosi all’interno del cranio.

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La premeditazione. È un elemento importante per stabilire quali fossero le intenzioni di partenza del giovane, la premeditazione. Aru ha raccontato che il bersaglio vero della rivoltellata era l’altro, il fratello dell’interlocutore su Facebook. Non l’ha preso perché vista la pistola avrebbe scartato su un fianco, così che la traiettoria della pallottola s’è spostata sull’unica persona che a detta dei testimoni aveva provato a sedare lo scontro. Dopo accade questo: Martin se la fila, il padre rimane là, impietrito. Tempo pochi attimi e s’allontana anche lui, torna a casa. Dove più tardi lo raggiunge una cricca armata di mazze, coltelli e tirapugni. Sono il padre settantenne e il fratello di Picci, accompagnati da un parente. Non trovando Martin fanno a pezzi l’automobile della famiglia, prima che gli uomini della squadra mobile li fermino: sono accusati di porto di oggetti atti a offendere, danneggiamento e minacce.

Si costituisce. Nel frattempo Martin Aru fa la sola cosa giusta della giornata: dopo un rapido passaggio dalla fidanzata corre dall’avvocato Marco Fausto Piras, gli racconta i fatti ignaro di essere un assassino. Il legale lo calma e chiama i carabinieri. Il resto è la confessione prima coi militari e poi con il pm Guido Pani. Col tentativo di tenere il padre fuori dai guai: «Non sapeva della pistola, mi ha solo accompagnato, ho fatto tutto io». Per ora Massimiliano Aru è in carcere a Uta, accusato di concorso nell’omicidio. Raccolte a verbale le testimonianze, la sua posizione sarà valutata.

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