La Nuova Sardegna

Sotto choc i familiari della rapita «Niente ricorsi, finisce qui»

di Enrico Carta
Sotto choc i familiari della rapita «Niente ricorsi, finisce qui»

Abbasanta. I parenti di Vanna Licheri sorpresi per la liberazione di Melis dopo diciotto anni in cella L’avvocato Marras: per noi la voce registrata appartiene a lui ma non cerchiamo colpevoli a tutti i costi

17 luglio 2016
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ABBASANTA. Dopo ventun’anni, ti siedi a pensare e quasi ti sembra che ragionare sia diventato impossibile. Eppure, la prima cosa che i figli di Vanna Licheri e il loro legale Agostinangelo Marras hanno fatto, è stata proprio quella di mantenere viva, per prima cosa e ancora una volta, la dignità della loro madre. Di andare oltre quel che dice la sentenza e di non battere più la strada della giustizia che hanno ottenuto solo in parte. Il richiamo della morale non li porterà in Cassazione per chiedere ciò che ormai ritengono non spetti più loro. O per lo meno, non gli spetti in questo modo.

Il giorno dopo la sentenza della Corte d’Appello di Perugia che ha assolto e quindi rimesso in libertà il mamoiadino Pietro Paolo Melis, 54 anni, diciotto dei quali passati in carcere con l’accusa di essere stato uno dei rapitori della donna di Abbasanta, è l’ennesimo pugno in faccia generato da una storia che non si esaurisce con le pur tragiche fasi di un sequestro finito nel peggiore dei modi. I pugili gettano la spugna, si arrendono perché non ce la fanno più. Sfiniti, fiaccati. I figli di un rapito che mai è tornato a casa dal giorno in cui qualcuno si portò via la loro madre di 68 anni sognando fortune sulla sua pelle, potrebbero far lo stesso di fronte al cammino zoppo della giustizia. Invece, non gettano la spugna. La scelta di non fare ricorso per Cassazione non è un arrendersi, ma un lasciare il campo esponendo l’inespugnabile scudo della morale. Quella che i rapitori mai ebbero: non il giorno in cui misero a segno il sequestro, non quando Vanna Licheri morì nelle loro mani sporche di sangue.

È bastata una notte per maturare quel che forse silenziosamente in cuor loro o con voce sommessa nelle discussioni in famiglia, avevano già pensato in questi ultimi tempi. Da quando era stata concessa la revisione del processo a Piero Melis, i figli di Vanna Licheri hanno riflettuto a lungo sul da farsi anche nel caso in cui fosse arrivata una sentenza che avrebbe ribaltato il verdetto sancito dai precedenti tre gradi di giudizio e poi stravolto da nuovi elementi processuali. E quelle riflessioni oggi portano in una sola direzione. «Non andremo in Cassazione», esordisce l’avvocato Agostinangelo Marras che parla a nome della famiglia Licheri che gli ha affidato il compito di spiegare i motivi di questa scelta.

«Bisogna addentrarsi nelle pieghe del processo per capire dove risiedano i fondamenti di questa scelta – prosegue Agostinangelo Marras –. Noi abbiamo sempre sostenuto che l’anonimo che conversava con l’unico condannato, ovvero Giovanni Gaddone, fosse Pietro Paolo Melis. L’abbiamo fatto sulla base di un dato scientifico, di una perizia fonica che ci diceva che quella persona registrata era proprio Melis. Adesso ci ritroviamo di fronte a una nuova perizia che dice cose diverse: per il consulente di parte addirittura la voce non è dell’imputato; per il perito del tribunale è invece impossibile stabilire a chi appartenga quella voce. Di più, dice che non è mai stato possibile attribuire un volto e un nome a quella voce».

È il passaggio cruciale che ha portato all’assoluzione, ma è anche il motivo che ha fatto prendere l’ultima decisione alla famiglia Licheri e al suo legale. «Non cerchiamo colpevoli a tutti i costi, non andiamo avanti. Non ci sono i presupposti professionali e, prima ancora, morali per farlo», conclude Agostinangelo Marras. Resta il dolore, restano le domande sul perché di un sequestro brutale quanto mai altri, messo in atto nel maggio del 1995 nelle campagne di Abbasanta, in giorni oscuri per la Sardegna. Tempi in cui l’Anonima emetteva gli ultimi vagiti della sua crudele storia.

Resta, ai figli, un’ultima sempre più flebile speranza. Loro che nemmeno sanno in che giorno la loro madre sia morta, aspettano ancora che qualcuno gli dica o gli faccia sapere dove sono i poveri resti di Vanna Licheri. Almeno questo.

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