La Nuova Sardegna

I banchieri pronti a intervenire

di Andrea Di Stefano
I banchieri pronti a intervenire

Borse, già in fumo 2mila miliardi di dollari. Riunione per garantire un supporto ai mercati

26 giugno 2016
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ROMA. Duemila miliardi di dollari. Il primo conto globale dell’impatto della Brexit sui mercati finanziari è salito a 2,1 trilioni di dollari con il tonfo di Wall Street che venerdì sera ha chiuso in flessione del 3,39%. Si tratta del risultato peggiore in assoluto registrato in una sola giornata che oscura le perdite seguite all'attacco alle Torri Gemelle o al fallimento di Lehman Brothers.

E la situazione non è assolutamente destinata a stabilizzarsi: oggi si vota in Spagna mentre a Basilea si tiene l’assemblea della Banca dei Regolamenti Internazionali, l’organismo che raggruppa le banche centrali di tutto il mondo. Già ieri sera c’è stato un primo giro di tavolo tra i banchieri con un incontro dei paesi G10.

In Svizzera sono attesi, oltre al Governatore della Banca d’Italia Ignazio Visco, il presidente della Bce, Mario Draghi, la presidente della Fed, Yanet Jellen, il Governatore della Banca del Giappone, Haruhiko Kuroda, ma anche il Governatore della Banca d’Inghilterra, Mark Carney.

Le banche centrali sono intervenute già nel corso della notte di giovedì e poi venerdì iniettando complessivamente quasi 1.000 miliardi di dollari per evitare tensioni e cercare di stabilizzare i cambi.

Il primo osservato speciale è la sterlina che ha sinora perso l’11,3% nei confronti del dollaro, il record storico negativo, peggiore del famigerato lunedì nero del 1992 quando lira italiana e sterlina sotto attacco speculativo furono costrette ad uscire dal serpente monetario europeo, un sistema di cambi regolato che anticipava l’euro.

Molto dipenderà dalla Banca d’Inghilterra: se sarà costretta a tagliare i tassi di interesse per aiutare l’economia, la sterlina potrebbe deprezzarsi ulteriormente nonostante gli interventi a sostegno delle altre banche centrali che non vogliono un eccessivo rafforzamento soprattutto del dollaro. Come sottolinea Donato Masciandaro (direttore del Dipartimento di economia dell’Università Bocconi) le banche centrali devono stabilizzare la valuta statunitense per evitare una recessione mondiale, dato che oltre il 40% degli scambi e il 75% del debito pubblico è denominato in dollari.

Con la Brexit il Regno Unito è ora anche a rischio di declassamenti da parte delle agenzie di rating. Venerdì lo ha annunciato Standard & Poor’s, ieri è stata Moody’s a portare l’outlook da stabile a negativo pur mantenendo il voto Aa1. Con la Brexit c’è il rischio di «un prolungato periodo di incertezza per il Regno Unito, con implicazioni negative nel medio termine per la crescita del Paese» e conseguenze anche sul fronte dei conti pubblici, complicando l’attuazione del piano pluriennale di risanamento e consolidamento messo a punto a suo tempo.

Un primo pesante effetto è il rinvio della cessione delle quote possedute dallo Stato nelle banche salvate durante la crisi (Royal Bank of Scotland, Lloyd’s Bank e 17,5 miliardi di sterline di obbligazioni della fallita Brandford&Bingley): il governo puntava a incassare oltre 2 miliardi di sterline ma il crollo delle quotazioni di circa il 20% ha fatto cancellare il piano. Intanto le principali istituzioni finanziarie stanno spostando migliaia di operatori verso Dublino, Francoforte e Parigi: lo hanno confermato ieri i vertici di Morgan Stanley, Goldman Sachs, Jp Morgan Chase, Bank of America, Nomura solo per citare alcune delle più note banche che avevano scelto Londra per il passaporto finanziario europeo che ieri la Bce ha confermato che non sarà garantito per la Gran Bretagna dopo il voto pro-Brexit.

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