La Nuova Sardegna

Il pm: «Simeone e Cappellacci colpevoli»

di Mauro Lissia
Il pm: «Simeone e Cappellacci colpevoli»

Il crack da 10 milioni della Sept Italia: chiesti 8 anni per il sindaco di Carloforte, tre e mezzo per l’ex governatore

10 giugno 2016
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CAGLIARI. Marco Simeone è responsabile del crack da dieci milioni di euro dell’azienda produttrice di vernici Sept Italia, i ventisei fatti di bancarotta fraudolenta contestati nel procedimento sono tutti provati e riscontrabili nei documenti e nella consulenza d’ufficio: l’ha sostenuto il pm Giangiacomo Pilia, che a conclusione della sua requisitoria ha chiesto per il sindaco di Carloforte la condanna a otto anni di reclusione. Confermate per la Procura anche le accuse rivolte all’ex governatore Ugo Cappellacci - che ieri era nell’aula del tribunale, come Simeone - e all’avvocato civilista Dionigi Scano, imputati di bancarotta fraudolenta per aver firmato nel 2001, da consiglieri delegati, l’acquisto di una società contro gli interessi economici della Sept: per loro il pm ha sollecitato tre anni e mezzo di reclusione. C’è la richiesta di condanna anche per tutti gli altri imputati, coinvolti in ruoli diversi nel fallimento dell’azienda di Simeone, dichiarato nel 2010, e nella conseguente bancarotta: 5 anni per Luigi e Maria Simeone, 4 anni e mezzo per Stefano Fercia, 4 anni per Marco Isola, Carlo Demele e Marcello Paolo Angius, 3 anni per Oscar Mario Gibellini, 2 anni e 2 mesi per Antonello Melis, 2 anni per Elisabetta Morello e un anno per Riccardo Pissard. Un'altra imputata, Maddalena Comparetti, è deceduta nel corso del processo.

Il personaggio centrale della vicenda è Simeone, che dall’ottobre 2012 ha trascorso dieci mesi in carcere e altri tre agli arresti domiciliari. È lui per l’accusa ad aver manipolato i conti e le operazioni finanziarie dell’azienda di vernici, in un intreccio di operazioni illegali destinate - per il pm Pilia - a mascherare e alterare lo stato finanziario dell’azienda portandola al fallimento. A Cappellacci il pm contesta l'accusa di bancarotta fraudolenta per aver firmato come consigliere delegato della Sept, il 28 dicembre 2001, l'atto d'acquisto della società Simeone srl senza l'autorizzazione del consiglio di amministrazione in base a una delega che l’accusa considera generica e in aperto contrasto con l'impostazione della società, la cui assemblea appena qualche anno prima - il 16 aprile 1999 - aveva certificato come l'isola di San Pietro non fosse strategica per il business aziendale. Secondo il pm Pilia quell'atto, firmato anche dall'altro consigliere delegato Dionigi Scano, configurava «un evidente conflitto di interessi perché i proprietari della Simeone srl erano anche soci e amministratori di Sept e si sarebbero dovuti chiedere se l'operazione fosse conveniente, tutto questo in base all'articolo 2391 del codice civile».

Al contrario - sostiene il pubblico ministero - l'operazione portata a termine con la firma di Cappellacci ha comportato «un notevole impegno sul patrimonio sociale senza alcuna prospettiva di vantaggio per la società Sept». In sostanza un danno che avrebbe contribuito a far cadere l’azienda madre in una voragine finanziaria. Il danno complessivo sarebbe di 127.077 euro. Cappellacci e Scano - all’esame davanti al tribunale - hanno fermamente respinto ogni addebito producendo documenti e prove a difesa. In favore di Angius e Damele ha parlato l’avvocato Marcello Deriu, per il quale «le consulenze hanno dimostrato la regolarità delle operazioni aziendali della Sept e l’inconsistenza delle consulenze d’ufficio, con errori di calcolo e date. Per questi errori - ha detto il legale - le scuse del pm sarebbero gradite». Oggi la parola passa ad altri difensori.

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