La Nuova Sardegna

Ritrovato dopo 73 anni il sottomarino affondato a Tavolara

di Dario Budroni
Ritrovato dopo 73 anni il sottomarino affondato a Tavolara

All’interno del sommergibile britannico P311 ci sono i corpi intrappolati dei 71 membri dell’equipaggio

24 maggio 2016
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OLBIA. Lo hanno trovato laggiù. Novanta metri sotto il pelo del mare. Adagiato sul fondale sabbioso e incrostato di alghe e spugne marine. L'occhio umano ha incrociato il sommergibile britannico P311 dopo 73 anni. Domenica un esperto sommozzatore genovese lo ha scovato in un angolo di mare poco distante dall'isola di Tavolara. Era uno dei relitti più ricercati del Mediterraneo. Aveva fatto perdere le sue tracce nel gennaio 1943, in piena seconda guerra mondiale, insieme a 71 persone dell'equipaggio. Giovani marinai che ancora si trovano dentro il sommergibile. Intrappolati in una enorme bara di acciaio sui fondali galluresi. Morti per la mancanza di ossigeno dopo aver urtato un campo minato della marina italiana.

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Il ritrovamento. Per gli appassionati di relitti e subacquea il sommergibile P311 è una specie di mito. Tutti si chiedevano che fine avesse fatto e soprattutto in quale punto si trovasse. Massimo Domenico Bondone, subacqueo genovese, che negli anni si è tolto la soddisfazione di ritrovare numerosi relitti, si è messo sulle tracce del sommergibile un mese fa. È sbarcato in Sardegna armato di esperienza e strumentazioni. L'Orso diving club di Poltu Quatu, di Corrado Azzali, gli ha invece fornito il supporto logistico. Così Massimo Bondone, dopo alcuni tentativi ostacolati dalle pessime condizioni meteo, domenica si è immerso al largo di Tavolara, mentre Luca Magliacca dell'Orso diving lo ha atteso in superficie. Il sub genovese è andato quasi a colpo sicuro: dopo 80 metri ha intravisto la sagoma del sommergibile e poi ha esultato. Ma con rispetto. «Subito pensi al destino di chi laggiù ha trovato la morte – racconta –. Un destino che accomuna tanti uomini di diverse bandiere, sommergibilisti in particolare».

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Il fantasma. Il sommergibile della Royal navy fa parte della flotta fantasma. «Sono quei mezzi navali partiti per una missione e più rientrati, svaniti nel nulla» spiega Massimo Domenico Bondone. L'Hms-P311, classe T, era partito da Malta a fine dicembre 1942. Era la sua prima missione, tra l'altro molto difficile, quasi suicida. L'obiettivo era ambizioso: raggiungere il porto della Maddalena per colpire gli incrociatori italiani Trieste e Gorizia. Un’importante azione di attacco nello scacchiere del Mediterraneo. Ma qualche giorno dopo, ai primi di gennaio 1943, la collisione con un banco di mine posizionato, poco distante da Tavolara, dalla marina italiana in difesa del porto maddalenino. Si dice che alcuni pescatori abbiano sentito un forte boato, durante una notte di tempesta. Ma nessuno nel corso dei decenni era mai riuscito a localizzare il mezzo britannico. Domenica invece la svolta con il ritrovamento da parte di Massimo Bondone a pochi chilometri dal golfo di Olbia.

Relitto intatto. Il P311, lungo 84 metri e largo circa 8, è quasi integro. Si poggia sul fondo in assetto di navigazione e la struttura è praticamente intatta. Solo la prua è danneggiata, a causa dello scoppio della mina. Appare chiarissima anche la sagoma di un cannone posizionato davanti alla torretta. Inoltre il P311 trasportava due Chariot: piccoli mezzi d'assalto subacquei, pilotati da due persone, che con facilità potevano insinuarsi nei porti nemici per il posizionamento delle cariche esplosive sulle carene delle navi.

Cimitero sottomarino. Il ritrovamento risulta eccezionale anche perché all'interno della cabina del sommergibile si trovano i corpi dei marinai britannici. Secondo alcune ricostruzioni fatte negli anni, l'equipaggio era formato da 61 uomini più 8 operatori dei due Chariot e 2 meccanici. Con tutta probabilità i compartimenti del mezzo britannico non sono stati invasi dall'acqua. L'esplosione della mina potrebbe non aver intaccato la struttura interna, rimasta sigillata dal gennaio del 1943. «Sì, dentro potrebbe esserci rimasta ancora dell'aria. Si moriva dunque per l'assenza di ossigeno - spiega Massimo Domenico Bondone -. Bisogna portare estremo rispetto per i relitti, soprattutto in questo caso. Anche perché, morte a parte, la vita dentro un sommergibile era davvero molto difficile, tra spazi stretti, pessime condizioni e il costante timore di essere colpiti da un siluro o da una carica di profondità».

Il protagonista. Massimo Domenico Bondone, nella vita operatore tecnico subacqueo, non ama definirsi cacciatore di relitti. «Più che altro sono un appassionato di immersioni su relitti e navigazioni da diporto» specifica. Negli anni, comunque, è riuscito a scovare diversi tesori sottomarini. Da poco ha per esempio ritrovato il Kreta, vicino l'isola di Capraia. Verso la fine degli anni Novanta in Sardegna ha ritrovato il Bengasi e il San Marco al largo di Villasimius.

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