La Nuova Sardegna

L’assessore Arru: «Natalità e popolazione a picco, la Sardegna riparta dai migranti»

L’assessore Arru: «Natalità e popolazione a picco, la Sardegna riparta dai migranti»

«Per invertire il trend approfittiamo della opportunità rappresentata dalla presenza di tanti giovani in cerca di una nuova occasione»

24 maggio 2016
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SASSARI. Per invertire la rotta ogni donna sarda in età fertile dovrebbe mettere al mondo almeno tre figli e iniziare a farlo subito: solo così si ribalterebbe il dato che oggi vede l'isola al di sotto del tasso di sostituzione. Significa che i decessi superano i nuovi nati, con un decremento demografico costante che colpisce soprattutto le zone interne. Dove la popolazione diminuisce e contemporaneamente invecchia. E con l'età media che cresce si riduce drasticamente anche il numero delle nascite. Per questo, dice l'assessore regionale alla Sanità Luigi Arru, bisogna guardarsi intorno. E cogliere tutte le opportunità. Per esempio quella offerta dagli sbarchi di migranti: la maggior parte giovanissimi in cerca di riscatto nella nostra isola. E che nella nostra isola potrebbero decidere «di mettere radici e famiglia», dice Arru. Ma per questo è necessario creare occasioni di lavoro.

«I ragionamenti sono in corso con l'assessorato al Lavoro, puntiamo a trasformare le nuove presenze nella nostra terra in una opportunità per tutti». Per ripopolare le zone interne, dove sono molti i paesi alle prese con un galoppante calo demografico. Ma anche per invertire il trend della natalità in picchiata. Nell'isola dei centenari ma delle culle vuote il rapporto è di 1,1 figlio per donna, a fronte dell'1,6 nazionale che non è comunque sufficiente per sperare in un adeguato ricambio generazionale. L'assessore Arru dice che non è semplice venirne fuori. Anche perché in Sardegna, più che nel resto d'Italia, le donne rimandano l'appuntamento con pannolini e biberon: il primo figlio arriva dopo i 30 anni e spesso verso i 40. E spesso, proprio per questioni d'età, resta figlio unico. Il lavoro scarseggia, la crisi economica spazza via stipendi e certezze. Il contributo previsto dal bonus bebè (80 euro al mese che il ministro Lorenzin vorrebbe raddoppiare) «è un buon aiuto ma non risolve i problemi».

E per chi il lavoro ce l’ha invece servono aiuti, strutture come nidi e centri per l'infanzia a prezzi accessibili, così da incoraggiare le donne verso la maternità. «E bisogna garantire anche maggiore flessibilità lavorativa – aggiunge Arru – per consentire anche alle mamme una soddisfacente carriera professionale. Non è giusto che chi sceglie di avere dei figli possa essere penalizzata. Sappiamo bene che la situazione è complicata – conclude l’esponente della giunta Pigliaru –. E se vogliamo trovare una soluzione non possiamo permetterci di chiudere alcuna porta». (si. sa.)

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