La Nuova Sardegna

Il Pd ritrova l’unità ma sul traghettatore l’accordo non c’è

di Umberto Aime

A Tramatza le quattro correnti non sciolgono la riserva La scelta arriverà subito dopo le amministrative di giugno

21 maggio 2016
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INVIATO A TRAMATZA. Il cielo di Tramatza stavolta è limpido. Sulle teste del Pd, in assemblea, a volare sono e saranno solo centinaia di colombe. Addio, gufi e avvoltoi. Se pace dev’essere che sia subito o almeno quasi subito. Poco importa se chi fino a un mese fa menava come un fabbro, ha cambiato idea e modi per logica, strategia o perché obbligato a farlo. Eccola la metamorfosi: nessuno, a Tramatza, è arrivato con la falce e il martello, solo ramoscelli di pace, stretti in una mano e anche nell’altra. Certo, non c’è ancora il nome del successore di Renato Soru, il segretario dimissionario, e nemmeno una rosa su cui trattare. Abbiate pazienza, l’identità del prescelto, di chi sarà il traghettatore per quattro o sei mesi arriverà dopo le elezioni comunali, così è stato deciso. È vero, non c’è poi ancora neanche la data del prossimo e inevitabile congresso straordinario: sarà prima o dopo il referendum costituzionale? Calma, il direttorio delle quattro macrocorrenti sul mese è sempre abbastanza diviso. Ma dopo i ballottaggi di metà giugno sarà scelto anche quel giorno magico. Prima in una riunione ristretta e poi sarà ratificato dai delegati. Ebbene sì, l’ultima «Carlo Felice» del Pd per tre ore è stata imbandierata solo di petali e fioretti, zero trappole e neanche un dispetto. Sarà per colpa della paura, leggi elezioni da vincere, o perché spinta dalle difficoltà del momento, oppure perché più semplicemente Roma ha voluto così, sta di fatto che l’assemblea è stata una passerella abbastanza ben organizzata di buone maniere. È accaduto una volta superato l’imbarazzo (che ha fatto saltare i nervi a un iscritto) sull’ordine degli interventi. Però una volta salito sul palco nessuno s’è più scagliato contro l’altro per rinfacciargli questo o quel peccato. Anzi, a Soru, assente, è stato tributato un applauso sincero dai 130 delegati presenti sui 160 convocati dalla presidente Giannarita Mele. A battere le mani sono stati tutti. Dai nemici della prima ora, i renziani e gli ex Diesse, fino a quelli che con l’ex governatore s’erano alleati nel 2014, per poi mollarlo a gennaio dopo un’evidente incompatibilità, non solo politica, i popolari-riformisti di Cabras e Fadda. Tutti meno uno, Gianluigi Piras, che sta con la minoranza delle minoranze, gli ex civatiani. È stato lui a dire che è il «re era nudo da tempo», e cioè «siamo sinceri, è stato un magistrato (quello che ha condannato Soru per evasione fiscale) a farci ragionare e scoprire che una stagione è finita e servono facce nuove. Noi da soli non siamo stati capaci di farlo». Se il Pd in questi mesi ha avuto una colpa è stata proprio quella di non riuscire a chiudere da solo la partita fra i lottatori: ha aspettato di essere travolto. Ora i gruppi hanno capito che le soluzioni non vanno più cercate a tavolino e neanche dai capibastone, che continueranno comunque ad aver il loro peso. Dovrà essere l’assemblea, con le primarie, a scegliere il nuovo segretario. Nell’attesa, un figura autorevole dovrà tirarlo fuori dalle sabbie mobili, rianimarlo in fretta per le amministrative e poi rinforzarlo fra qualche mese. Il congresso straordinario non sarà un passeggiata, ma se continueranno a volare solo colombe, il prossimo segretario potrebbe essere davvero il segretario di tutti.

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