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Il pane straniero e surgelato invade la Sardegna: sos dei produttori

di Giacomo Mameli
Il pane straniero e surgelato invade la Sardegna: sos dei produttori

Nell'isola i forni erano 1.880 due anni fa, ora sono 1.050, con una perdita di 850 posti di lavoro

01 maggio 2016
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CAGLIARI. C'era la fila lunga alla Fiera di Cagliari per assistere alla preparazione del "pane nostro quotidiano" fatto col grano Cappelli, macinato nel mulino a pietra di Nurri, infornato (e mangiato) a chilometro zero. Tanta curiosità, tanti assaggi, casalinghe curiose, si sprecano i «che buono, che saporito». E i giovani eredi di uno dei fornai più noti in Sardegna - la famiglia Noli-Porta di Gonnosfanadiga - gongolano davanti a tanto interesse. Ma ci vuol poco a vedere il rovescio della medaglia perché, sentendo i titolari dei panifici dell'isola, ci si rende conto che si assiste a un'invasione costante del "pane forestiero quotidiano" esposto nel supermercato sotto casa. Quando nelle grandi vetrine troviamo la scritta "Pane caldo tutto il giorno" dobbiamo sapere che stiamo per mangiare un pane che arriva surgelato dalla Croazia, dalla Romania, dalla Spagna, tolto dal freezer e riscaldato nel forno del supermarket.

Allarme rosso. I panifici erano in Sardegna 1180 due anni fa. Oggi sono 1050. Dipendenti: calo di 850 unità in due anni, in molti paesi i panifici sono stati chiusi. I numeri dell'importazione sono più che raddoppiati: «Se fino a due anni fa giungevano in media 150-170 quintali di pane surgelato al giorno, cioè con temperature a meno 18 gradi, adesso si è arrivati a 300 quintali», dice Gianfranco Porta, 56 anni, presidente dei panificatori della provincia di Cagliari. «Con la qualità del pane che va a farsi benedire». Antonio Cesaraccio, 60 anni, aggiunge da Sassari: «Il consumo di pane è calato, nel mio laboratorio sfornavo ogni giorno 55 quintali, adesso sono fra 35 e 40». Succede anche in Barbagia dove Giampietro Secchi, presidente dei panificatori della provincia di Nuoro e dell'Ogliastra, è passato da 9 a 6.5 quintali al giorno. «Una delle nostre eccellenze alimentari sta diventando merce rara, i consumatori dovrebbero essere più cauti nella scelta anche perché non c'è poi tanta differenza di prezzo fra il pane lavorato ogni giorno e un altro tipo di pane che staziona nei freezer per mesi». Denuncia Secchi: «Il pane che arriva surgelato è ottenuto da materie prime scadenti, piene di conservanti, coloranti e altri additivi chimici. Quello dei nostri forni è pane di giornata, lavorato durante la notte, fatto lievitare nei tempi giusti. E più saporito, più sano e dura molto più a lungo».

Il pane artigianale. Sono le stesse frasi che incantano i visitatori della Fiera di Cagliari dove troneggia il meglio del made artigianale in Sardegna. Lo stand ha una sua sacralità perché nei poster si legge "La cerimonia del pane". E davanti agli eredi Porta (primo forno aperto nel 1918) si ammirano le spighe alte e scure del grano Cappelli. «Ha una resa inferiore agli altri tipi – spiega Riccardo Porta di 26 anni – ma ha qualità organolettiche eccellenti con una percentuale di proteine superiore tra il 28 e il 32 per cento degli altri tipi. La macinazione a pietra è lenta e lascia intatte le proprietà del chicco, non lo sbriciola come avviene nei mulini a rullo. Usiamo il lievito naturale, quello che noi chiamiamo frammentu e a Sassari è definito madrigga».

Sos. Come salvare una produzione fondamentale per l'alimentazione? «Abituare i consumatori a leggere le etichette – dice Cesaraccio– con norme più severe che impongano l'indicazione della provenienza delle materie prime con caratteri ben visibili». Ecco Porta: «Occorre maggiore informazione. È assurdo che l'antico granaio di Roma importi il pane surgelato dall'estero». Che fare in concreto? «Far risentire le lezioni di Alberto Mario Cirese che quasi si commuoveva davanti al pane sardo quotidiano».

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