La Nuova Sardegna

Dopo 25 anni resta il giallo

di Alessandro Pirina

Sul traghetto per Olbia morirono 140 persone. I familiari: vogliamo la verità

10 aprile 2016
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SASSARI. È stata ribattezzata l’Ustica del mare. Una strage con una sola certezza: il numero delle vittime. Sono passati 25 anni dalla tragedia della Moby Prince, ma i familiari dei 140 morti sono ancora in attesa di conoscere la verità. Da un quarto di secolo combattono per sapere cosa è accaduto la notte del 10 aprile 1991 al porto di Livorno, appena venti minuti dopo che il traghetto aveva mollato gli ormeggi in direzione Olbia. In realtà, una verità è stata accertata, ed è quella giudiziaria, ma a loro non basta. Per i parenti le vite dei loro figli, genitori, amici non possono essere state decise solo da un errore umano o da sfortunate coincidenze. Non ci sono mai stati a questa verità stabilita nei tribunali. Ed è per questo che in questi 25 anni non si sono mai fermati, hanno combattuto per ottenere quello che, finalmente, con 25 anni di ritardo, è arrivato nel 2015: l’istituzione di una commissione d’inchiesta parlamentare che accerti quello che è realmente accaduto il 10 aprile 1991.

L’incidente. La Moby Pince, traghetto della Navarma, lasciò il porto di Livorno alle 22.03. A bordo 140 persone: 75 passeggeri e 66 membri dell’equipaggio. Sarebbe dovuta arrivare l’indomani mattina all’Isola Bianca di Olbia, ma poco meno di mezz’ora dalla partenza, quando ancora si trovava nella rada del porto toscano, entrò in collisione con la petroliera Agip Abruzzo. Dal traghetto alle 22.26 fu lanciato il may day. Ma alla sala radio della capitaneria di porto di Livorno arrivò un segnale debolissimo e non fu sentito.

I ritardi. Immediatamente fu prestato soccorso alla petroliera, dove non si registrò neanche una vittima, mentre per oltre un’ora nessuno si accorse che la Moby Prince era alla deriva completamente avvolta dalle fiamme. Un tempo lunghissimo che si rivelò fatale. Delle 141 persone a bordo se ne salvò solo una, il mozzo Alessio Bertrand, che riuscì a rimanere aggrappato a una balaustra. Per tutti gli altri una atroce fine. Per la perizia dei consulenti del tribunale la vita dei 140 tra passeggeri e membri dell’equipaggio non durò oltre i 20 minuti, mentre per gli esperti delle parti civili il loro calvario si protrasse per ore.

Le vittime sarde. A bordo anche una trentina di sardi. A partire dal comandante Ugo Chessa, cagliaritano, occasionalmente insieme alla moglie Maria Giulia Ghezzani. E poi la famiglia Canu di Burgos: padre, madre e le due piccole Ilenia e Sara di uno e 5 anni. Da San Teodoro arrivavano Raimondo Brandanu, 60 anni, e la moglie Maria Serra, 54. Gianfranco Campus, 21 anni, carabiniere di Birori, rientrava a casa per una breve vacanza, come anche Giuseppe Congiu, 23 anni, di Oliena, e Tonino Sini, 42 anni di Pattada. Il pensionato di Alà dei sardi, Salvatore Scanu, non risultava nell’elenco dei passeggeri, ma un amico raccontò di averlo accompagnato fino alla scaletta.

I familiari. In questi 25 anni sulla tragedia della Moby Prince si sono accesi più volte i fari della magistratura, tre inchieste e due processi, ma la verità stabilita dalle toghe non basta ai familiari. «La sentenza dice che non c’è nessun colpevole – dichiara Loris Rispoli, il presidente della associazione 140, che nella strage perse la sorella Liana – e noi non lo possiamo accettare. Noi ci siamo accostati al primo processo a Livorno perché volevamo delle risposte, per anni abbiamo chiesto che fosse fatta piena luce, ma dalla magistratura abbiamo avuto solo silenzio».

La commissione. Dopo anni di attesa nel 2015 il Senato ha finalmente istituito la commissione d’inchiesta guidata da Silvio Lai. «Chiediamo alla politica di fare quello che non ha fatto la magistratura – aggiunge Rispoli –. Ovvero leggere la tragedia in una maniera diversa. Ai senatori abbiamo dato requisiti ben precisi. Vogliamo avere risposte sulle responsabilità dell’armatore, delle capitanerie, della petroliera. E sulla vivibilità all’interno della nave. I dati tecnici dicono che non sono morti tutti subito, la loro agonia è durata per ore. E se sono morti in attesa dei soccorsi che non arrivavano qualcuno dovrà risponderne». ©RIPRODUZIONE RISERVATA

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