La Nuova Sardegna

Il pm su Mesina: «Il suo mito è finito, è solo un criminale»

di Mauro Lissia
Il pm su Mesina: «Il suo mito è finito, è solo un criminale»

Processo per droga, la prima parte della requisitoria Ai raggi X gli affari sporchi dell’ex primula rossa

23 marzo 2016
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CAGLIARI. Quando c’era da chiudere un affare, compariva invariabilmente lui, Graziano Mesina. Quasi sempre a Milano, dove la banda diretta dall’ex latitante di Orgosolo vantava contatti d’alto bordo nel mondo dei trafficanti di stupefacenti. Su tutti Kastriot Lukay, un albanese dai modi spicci, che faceva girare la droga sui mercati internazionali e dettava le condizioni col piglio di chi ha in mano il bastone del comando. Mesina voleva essere presente, la stretta di mano col fornitore doveva essere la sua. Forse non si fidava, forse voleva influenzare con la sua autorevolezza criminale gli ultimi passaggi della compravendita, quando si parlava di soldi. Comunque sia, quella di Mesina era «un’attività criminale costante» e a leggere le carte del processo, l’ultimo che lo riguarda dopo il ritorno in carcere, l’ex ergastolano «faceva poco altro nella vita» se non organizzare affari sporchi. Per il pm Gilberto Ganassi, che ha cominciato ieri mattina la lunga requisitoria al dibattimento sul traffico di droga e altri reati, del mito Mesina restano tracce sbiadite. Mentre appare chiarissima negli atti del procedimento la sua azione di delinquente seriale: «La società ha dato fiducia a Graziano Mesina – ha detto Ganassi – ma lui l’ha sempre tradita». Tradita con i fatti: reati, malaffare, progetti criminosi. Sempre in mezzo ai malavitosi: «Attorno a lui si è creato un alone di mito, come fosse portatore di una fierezza criminale – ha spiegato il pubblico ministero davanti alla seconda sezione del tribunale, presieduta da Massimo Poddighe - ma la verità è che dopo il provvedimento di grazia, lui ha avviato un’ininterrotta attività illecita». Attività raccontata dalla montagna di intercettazioni, che fissano nel processo la sua vita tumultuosa tra il novembre 2008 e la metà del 2013: viaggi, telefonate inequivocabili e partite di stupefacenti che inchioderebbero Mesina alle contestazioni.

Lui, Mesina, non ha voluto partecipare neppure all’udienza in cui si doveva parlare e si è parlato soprattutto di lui, delle sue presunte malefatte. Rimasto in un silenzio ostinato, interrotto solo di rado con brevi e stizzose dichiarazioni spontanee, Grazianeddu ha fatto poco nel processo per rinverdire la sua reputazione di bandito mai sanguinario, figlio di un tempo in cui nella criminalità barbaricina vigevano regole rispettate. Per il pm Ganassi il Mesina di oggi è un feroce e banale delinquente, avido di denaro, pronto a progettare sequestri di persona e affetto da una strana mania: quella di spendere migliaia di euro in gratta e vinci. Come dire: un Mesina imbolsito, la cui figura processuale appare priva di smalto.

Gli altri imputati nel giudizio ordinario, soprattutto l’ex amico Gigino Milia e l’avvocato Corrado Altea, per Ganassi fanno parte certamente del gioco: «Il quadro probatorio dimostra che andavano spesso a Milano, prendevano contatti con Kastriot Lukay, facevano affari con lui – ha ricordato il pubblico ministero – e dal processo non è arrivata alcuna spiegazione alternativa di questi viaggi e di questi contatti. Erano solo affari legati alla droga. Se Altea ha sostenuto di essersi recato a Milano anche per questioni personali o per lavoro, questo non toglie rilievo agli elementi di prova, non ci spiega perché questi personaggi si telefonavano fra loro alle sei del mattino e si ritrovavano a Milano. Qui non si parla di ipotesi, ci sono contestazioni precise da parte dell’accusa ed è con quelle che bisogna confrontarsi».

Ganassi ha concluso soltanto la prima parte di una requisitoria lunga e complessa. Parlerà ancora il 12 aprile, poi sarà la volta delle difese.

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