La Nuova Sardegna

SarMed, l’isola felice del Sulcis Iglesiente che non conosce crisi

di Giacomo Mameli
SarMed, l’isola felice del Sulcis Iglesiente che non conosce crisi

La fabbrica hi-tech è diventata leader nei prodotti sanitari. In Sardegna ha 255 dipendenti e un fatturato da 30 milioni

22 febbraio 2016
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IGLESIAS. Producono soprattutto membrane per filtrare il sangue e altri liquidi organici ma anche per la depurazione microbiologica dell'acqua. Vendono in tutto il mondo: il 30 per cento (circa un milione di pezzi) in Europa (Italia esclusa), il 20 per cento fra Stati Uniti, Medio Oriente e Sudamerica, il restante 10 per cento in Asia. Non conoscono crisi e, dopo sedici anni di attività, pensano di poter crescere proponendo membrane con caratteristiche innovative per usi medici e clinici in generale: per la rimozione in modo selettivo del colesterolo, per la cura dell'Hiv e altre patologie.

«I nuovi progetti ci permetterebbero di entrare in mercati innovativi con ulteriori 25 assunzioni e con una crescita del know-how industriale. Realizzeremo laboratori dedicati alla ricerca e allo sviluppo di soluzioni innovative nelle branche più avanzate della biomedicina e della purificazione di liquidi destinati al consumo umano», dice Luciano Fecondini, ingegnere bolognese di 67 anni, presidente della SarMed che ha due stabilimenti in Sardegna, uno a Villacidro e l'altro a Iglesias. Il primo sorge dove era nata la chimica-scandalo dei fratelli Beretta con le ciminiere delle fibre Snia, il secondo nella zona di "Sa Stoia", deserto di macerie industriali fra le ex miniere e le aziende metallurgiche.

255 dipendenti. La SarMed fa parte del gruppo Medica di Medolla, in provincia di Modena, 522 dipendenti complessivi, 255 dei quali in Sardegna, fatturato di consolidato nel 2015 di trenta milioni di euro, capitale sociale interamente versato di oltre dieci milioni di euro. Specializzata in ricerca e sviluppo, nasce nel 1999 utilizzando gli incentivi concessioni per il Contratto d'area per il Sulcis Iglesiente devastato dalla crisi. Crea un settore innovativo, la biomedicina e la chimica farmaceutica, evoluzione naturale della chimica di base dopo le ciminiere e gli impianti che trasformavano la virgin nafta fra l'Asinara e il Golfo degli Angeli.

Impresa al femminile. Un fiore all'occhiello cresciuto sotto la catena montuosa del Marganai. Con vari punti di eccellenza. Nei due impianti sardi il 70 per cento della manodopera è femminile, età media 34 anni. Ventidue i laureati fra ingegneria, biologia e chimica, i diplomati sono 135. «La professionalità dei dipendenti è uno dei nostri punti di forza», sottolinea Fecondini. Produzioni di nicchia, molto richieste nel mondo: «Le fibre le creiamo noi facendo una pasta di polimeri a base polisulfonica. E proprio in Sardegna abbiano la base tecnologica per la produzione di sofisticate membrane con una tecnologia in possesso a pochissime aziende al mondo». Successi fuori casa: «Recentemente abbiamo partecipato alla fiera Arab Health a Dubai e abbiamo potuto perfezionare contratti importanti in un successivo viaggio in Iran».

Miniere dismesse. Tutto nasce dopo i sigilli messi alle miniere con l'intuizione di una professionalità made in Italy. Fecondini, dopo la laurea in Ingegneria chimica a Bologna («divento dottore a 23 anni e cinque mesi») inizia a lavorare fra i computer dell'Italsiel che gestivano la contabilità dello Stato italiano, passa alla multinazionale Dascop di Mirandola (distretto biomedico fra i più apprezzati al mondo) e poi diventa globetrotter fra States e Asia in aziende del settore sanitario. Fonda il gruppo Medica col socio Andrea Bocchi. Nel 1999 c'è la possibilità di investire in Sardegna. «L'ho fatto volentieri e sono soddisfatto, nell'isola i punti di forza sono superiori a quelli di debolezza. Oggi, dopo sedici anni ininterrotti di attività, i numeri e i giudizi della clientela internazionale ci danno ragione».

Le criticità. Ovviamente non tutto è oro. Per responsabilità di una classe politica decisamente incapace e miope, nella palude industriale di Iglesias - come in altre dell'isola - manca ancora l'acqua potabile («dobbiamo depurarcela noi»), non ci sono le fogne («manca un allacciamento di quindici metri»), niente corrente elettrica pubblica. E poi, su tutto, un vero guaio: «Il costo dell'energia superiore del 10 per cento a quello degli impianti in Emilia. E supera del 70 per cento il costo che si paga in Francia e il 50 rispetto alla Germania». Dice Fecondini: »Ma ci vuole Pico della Mirandola per capire che il problema energetico è basilare? Che occorre abbattere il costo dei trasporti? Che cosa può produrre la Sardegna se non si eliminano i balzelli generali delle aziende? All'Enel paghiamo bollette per 700 mila euro all'anno. È un salasso».

Il futuro. Anche con queste zeppe la SarMed vuole andare avanti con i nuovi prodotti. «Il mercato li apprezza, i nostri filtri per i sofferenti di reni sono richiesti e insisteremo. L'Isola tutta può diventare un distretto industriale per piccole e medie aziende in settori innovativi. Basta volerlo».

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