La Nuova Sardegna

Bono, casa di riposo fantasma: un gigante di 5 piani ma non c’è un paziente

di Salvatore Santoni
Bono, casa di riposo fantasma: un gigante di 5 piani ma non c’è un paziente

Il mega edificio di 33mila metri nato negli anni ’90 è dalla fondazione Randazzo. Impossibile stabilire quante risorse siano state investite per costruirlo

21 febbraio 2016
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BONO. Doveva essere una residenza sanitaria assistita ma per ora è soltanto un flop milionario. 33mila metri cubi posati su cinque piani di ferro e cemento; una torre cilindrica centrale e due lunghe ali laterali che nascondono 120 stanze pronte per accogliere i malati di mezz’isola. È la mega struttura della fondazione Stefania Randazzo che domina il Comune di Bono. La sua storia è fatta di lavori infiniti e decenni di estenuante attesa. La struttura è terminata da anni ma non è mai entrata in servizio. Ed è anche difficile riuscire a capire quanto sia costata.

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Nel frattempo, trenta pazienti dell’Aias vivono in una vecchia struttura al centro del paese. Il sindaco di Bono, Michela Sau, fa capire subito che in paese – e anche nel palazzo – la storia del mostro che sorge alle porte del paese, in regione Bicoleddu, è un tabù: «Noi ci siamo occupati soltanto di rilasciare le autorizzazioni di competenza del Comune».

La storia. La storia del “nuovo centro Aias” – come viene impropriamente etichettato, perché in realtà è di proprietà della fondazione Randazzo – è a dir poco tormentata ed è tornata d’attualità dopo la vicenda cagliaritana dei maltrattamenti in cui l’associazione è sprofondata. Il caso di Bono nasce intorno agli anni ’90 con una semplice pratica di edilizia privata e si trascina da decenni. In mezzo, intrecci politici e situazioni controverse che infittiscono il mistero e fanno storcere il naso a molti abitanti del piccolo paese del Goceano. Oggi l’ospedaletto è un gigante color salmone, e anche se impallidito dal tempo non ha nulla da invidiare alle strutture sanitarie dei grandi centri della Sardegna, a parte il fatto che non ha mai ospitato un paziente.

Cantiere fantasma. Secondo i dati in mano all’ufficio tecnico del Comune, nella nuova struttura il cantiere è ancora in corso. Si starebbe lavorando per adeguare gli impianti alle nuove norme, per definire i parcheggi e altri dettagli, gli stessi che si limano da anni e che sulla carta ne impediscono l’apertura. Anche se i motivi sembrano ben altri. Infatti, nell’area non c’è neanche ombra di un operaio: l’unica presenza sono i lampi delle le luci esterne che fanno le bizze, ma che restano accese anche di giorno, da anni. Un dettaglio che dona alla vicenda un’ulteriore pennellata di giallo. Proprio su questo dettaglio sono fioccate anche interrogazioni in consiglio regionale, quasi tutte cadute nel vuoto.

Separati in casa. L’amministrazione comunale sintetizza l’opinione diffusa tra i cittadini di Bono: «Ci dispiace che una struttura così grande rimanga inutilizzata – dice il sindaco Sau –. Qualsiasi cosa decidano di farci l’importante è metterla in funzione perché significherebbe un’opportunità per il territorio». Che tradotto significa: potenziali posti di lavoro in un periodo di crisi nera. Ma l’unico rapporto che il Comune di Bono ha con l’Aias è di tipo contabile e riguarda i contributi per i pazienti ospitati nella vecchia struttura oggi in funzione: mezzo milione di euro l’anno che la Regione gira al Comune che a sua volta riversa nelle casse nell’Aias. Una cifra che rappresenta un quarto del bilancio del Comune: non a caso Cagliari ha dovuto prevedere una deroga del patto di stabilità perché la mole di quattrini stava letteralmente ingrippando i conti del piccolo municipio.

La situazione attuale. In attesa che si compia il miracolo del Goceano, cioè che la nuova Rsa entri in funzione, i circa 30 ospiti oggi in carico all’Aias di Bono vivono in una vecchia struttura di proprietà della diocesi che sorge al centro del paese, e che con la nuova non regge il confronto. Oggi il centro è utilizzato soprattutto da pazienti che arrivano da altri Comuni, anche molto lontani. E sembra che lo spettro della vicenda di Decimomannu qua non sia arrivato. «Per quello che risulta a noi funziona tutto bene – continua il primo cittadino –. Certo, gli eventi di Decimomannu ci tengono in apprensione ma non per paura che le stesse situazioni si verifichino qua, ma soltanto perché sono fatti che impressionano molto». Tanto da metterci la mano sul fuoco? «La pedagogista è di Bono – conclude il sindaco – e anche molti altri operatori. E questo ci fa sentire chiaramente tranquilli e fiduciosi rispetto al lavoro di persone che conosciamo molto bene sia personalmente sia professionalmente. Anche se, ripeto, noi come amministrazione nel centro non entriamo: abbiamo pochi rapporti se non quelli strettamente burocratici».

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