La Nuova Sardegna

La rabbia dei parenti: «Ora vogliamo la verità»

di Luciano Onnis
La rabbia dei parenti: «Ora vogliamo la verità»

Contestata la presidente dell’Aias Anna Paola Randazzo, sorella del direttore I vertici dell’associazione: «Non sapevamo nulla, chiediamo scusa a tutti»

18 febbraio 2016
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DECIMOMANNU. Nel centro degli orrori ieri pomeriggio sono volati gli stracci. O meglio, li hanno fatti volare i 300 familiari dei degenti ospiti nella struttura sociosanitaria della famiglia Randazzo, convocati per un incontro che doveva essere chiarificatore. A guidare il faccia a faccia la presidente dell'associazione cagliaritana dell'Aias, Anna Paola Randazzo, sorella del direttore amministrativo Vittorio della casa protetta di Decimomannu (indagato assieme a tredici dipendenti del centro). Molti sono accusati di maltrattamenti nei confronti di 36 disabili psichici. L’obiettivo era chiarire la posizione della dirigenza Aias in questa vicenda che ha messo a nudo l'inferno che si è creato nel reparto di psichiatria e riabilitazione del Centro sociosanitario di Decimomannu. Non è stato un bel pomeriggio per Anna Paola Randazzo e i quattro collaboratori che l'hanno affiancata. Contestata in modo clamoroso e messa sul tavolo degli imputati.

Nel faccia a faccia con i familiari, in tanti giunti da molto lontano, la presidentessa Randazzo ha esordito: «Questa è una struttura privata e quelli di cui dobbiamo parlare sono fatti nostri. Via la stampa o chiamo i carabinieri». Ha attaccato Anna Paola Randazzo. Ma i familiari dei pazienti le si sono rivoltati contro. È partito un coro di contestazione. «I giornalisti devono rimanere qui, diversamente ce ne andiamo tutti. Si deve sapere cosa accade qui dentro ed è grazie a loro che questo è venuto fuori ed è salito alla ribalta nazionale», hanno urlato in sala.

Quasi mezz'ora di scontro. Quella della presidentessa Randazzo è stata una difesa d'ufficio a oltranza che, paradossalmente, ha ulteriormente esasperato gli animi. «Chiediamo scusa dieci volte – ha affermato la Randazzo –, non sapevamo cosa avvenisse qui dentro, diversamente saremmo intervenuti subito».

Nelle due ore di acceso confronto, ha dovuto incassare le accuse più disparate da parte degli indignati familiari, il racconto di episodi accaduti negli anni e che solo adesso, grazie alla denuncia di una dipendente coscienziosamente umana, hanno assunto tutt'altro aspetto. Quello dell'orrore. «Le cose succedevano e noi non ne sapevamo niente, anzi ci raccontavano balle – dice una donna di mezza età –. Mio fratello ha avuto un piede fratturato e non lo hanno portato in ospedale. Ci abbiamo pensato noi il giorno dopo». Raccontano Maria Monni, di Selargius, e due sue due figlie: «Mio figlio Marcello, 47 anni, era come un bambino, È morto qui, soffocato da un pezzo di panettone. Aveva una disfunzione al palato, non poteva deglutire e lo hanno lasciato solo a mangiare il panettone. Spesso lo trovavo con lividi alle mani e una volta anche con una bruciatura. Mi dissero che si rovesciato addosso una caffettiera bollente. Ma come, una persona in quelle condizioni libero di toccare e rovesciarsi addosso una caffettiera bollente?». Al termine dell'incontro, i familiari sono andati via insoddisfatti e ancor più indignati. «Hanno solo rimescolato il brodo, ma non sono credibili».

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