La Nuova Sardegna

Lavori pubblici e tangenti, la sindacopoli sarda si allarga a Roma

di Mauro Lissia
Un frame tratto da un video dei carabinieri e della finanza durante le indagini sugli appalti pilotati
Un frame tratto da un video dei carabinieri e della finanza durante le indagini sugli appalti pilotati

Indaga anche la Procura della capitale, mentre tra Oristano e Cagliari si fa strada l’ipotesi del reato di stampo mafioso

11 febbraio 2016
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CAGLIARI. C’è una sindacopoli sarda nel Lazio, coi protagonisti che arrivano dalla Barbagia: l’organizzazione guidata per l’accusa dall’ingegnere desulese Tore Pinna (per il gip di Oristano «il capo del sodalizio criminale») avrebbe operato anche nella provincia di Roma, con i soliti scambi di lucrosi incarichi e le solite tangenti in cambio di commesse per la progettazione, direzione ed esecuzione dei lavori pubblici. Stavolta però a indagare sul sistema degli appalti pilotati, che nell’isola ha già condotto il gip di Oristano a ordinare il 23 aprile 2015 ventuno arresti con cinque sindaci inchiodati da intercettazioni scottanti e prove documentali pesantissime, è la Procura della Capitale: secondo informazioni rimbalzate dalla penisola la Guardia di Finanza avrebbe già raccolto elementi interessanti per collegare l’indagine romana a quella ormai in fase di conclusione in Sardegna. I protagonisti sono gli stessi, analogo anche il modello utilizzato per convincere amministratori e dirigenti comunali a indirizzare gli affidamenti della progettazione dei lavori ai professionisti indicati dal gruppo di Pinna, alla sua Rtp Essepi Engineering e alla Edilogica srl di Francesco Chessa. I magistrati romani lavorano sulle accuse di associazione a delinquere in turbata libertà del procedimento di scelta del contraente, corruzione e minaccia a pubblico ufficiale, le stesse che con diversi livelli di responsabilità vengono contestate a Oristano. Ma stando alle indiscrezioni che attraversano il segreto imposto dai pubblici ministeri di piazzale Clodio verrebbe valutata l’ipotesi dell’associazione di stampo mafioso, perché il metodo usato dagli indagati non sembra molto diverso da quello emerso nel procedimento per Mafia Capitale. Sull’ipotesi del 416 bis sono in corso valutazioni anche in Sardegna: il gip Annie Cecile Pinello ha scritto nell’ordinanza per le misure cautelari di come «i metodi adottati dal Pinna nella direzione dell’associazione appaiono al limite dell’intimazione mafiosa», un dato che emerge con chiarezza dalle conversazioni telefoniche intercettate e dalla rigorosa regia nell’affidamento degli incarichi utili a governare secondo i propri interessi le gare d’appalto. Presto l’inchiesta potrebbe imboccare una svolta proprio in questa direzione: il pm Armando Mammone è impegnato nell’ultima fase dei patteggiamenti, quelli che riguardano le posizioni meno gravi. Ma il passaggio successivo potrebbe essere la contestazione del reato di mafia e in questo caso l’inchiesta andrebbe all’attenzione della Dda di Cagliari, finora spettatrice interessata dell’eccezionale lavoro condotto dai colleghi di Oristano insieme ai carabinieri e alla polizia tributaria.

Il codice penale stabilisce che l’associazione a delinquere è di tipo mafioso quando coloro che ne fanno parte si avvalgono della forza di intimidazione del vincolo associativo e della condizione di assoggettamento e di omertà che ne deriva per commettere delitti, per acquisire in modo diretto o indiretto la gestione o comunque il controllo di attività economiche, di concessioni, di autorizzazioni, appalti e servizi pubblici o per realizzare profitti o vantaggi ingiusti. Se il questo reato venisse contestato, riguarderebbe Pinna e i suoi più stretti complici. Non gli altri, di cui la gran parte sembra orientata a cavarsela col patteggiamento.

L’inchiesta su parentopoli è nata da una segnalazione anonima arrivata alla Procura di Oristano che riguardava un appalto di servizi indetto dal comune di Aritzo per la progettazione di interventi di consolidamento statico del centro storico. Quell’appalto sarebbe stato condizionato dal gruppo di Pinna, così come era avvenuto a Gadoni. Da quella denuncia partirono le indagini, che hanno riguardato mezza Sardegna e numerosi comuni, fino agli arresti di aprile.

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