La Nuova Sardegna

Le nostre vite hanno ancora bisogno di regole?

di GIACOMO MAMELI
Le nostre vite hanno ancora bisogno di regole?

“Limite”, esce il nuovo saggio del filosofo Gli incerti confini tra libertà e responsabilità

09 febbraio 2016
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di GIACOMO MAMELI

La domanda cruciale se la pone lo stesso autore di “Limite”, Remo Bodei, tra i massimi filosofi contemporanei. Al telefono, in treno fra Berlino e Lugano, si chiede: «Non si stanno forse erigendo nuovi muri, visibili e invisibili, per separare fra loro individui e popoli, stabilendo rigidi criteri di esclusione e d'inclusione? La cronaca quotidiana è lì a testimoniare migrazioni inarrestabili che dureranno ancora mezzo secolo, come mai è avvenuto nella storia dell'umanità. E davanti a questo cataclisma sociale bisogna evitare di aggrapparsi ai soli due scogli davanti a noi».

Quali sono?

«Quello dell’assimilazione da una parte e quello della ghettizzazione dall’altra. La convivenza deve essere reciproca ma dettano legge gli egoismi. La politica - dovunque - ragiona a breve, ha il timer elettorale a quattro anni quando va bene. E sbaglia. Occorrono visioni lunghe che mancano ovunque, Europa in prima fila».

Restano i muri nel Medio Oriente, con la tragedia palestinese che dura quasi da mezzo secolo.

«Infatti. Dopo quello di Berlino, quando saranno abbattuti i muri che separano Israele dalla Cisgiordania e la Corea del Sud dalla Corea del Nord? Quando verrà tolta la barriera di filo spinato appena finita di costruire fra la Serbia e l’Ungheria o abolito il dispositivo in via di completamento per bloccare l’ingresso di migranti indesiderati attraverso la lunga frontiera fra Stati Uniti e Messico? Non si capisce che anche i muri sono come i vasi comunicanti, chiudi da una parte e l’acqua scorrerà da un’altra, spesso provocando catastrofi. Vanno migliorate, non a parole, le condizioni di vita in tutto il mondo. Noi siamo l'Occidente felice che fa colazione pranzo e cena. Altre zone muoiono di fame e di sete. E i residenti scappano dalla morte incivile. Nessuno li può fermare. Si prevede che 200 milioni di africani cambieranno luoghi di vita. E che si fa? Blocchetti, cemento e filo spinato? Le invettive della Lega in Italia, dei filonazisti a Dresda o dei movimenti xenofobi sparsi in ogni dove? No, la risposta non è né il buonismo né i cavalli di Frisia. Andiamo verso una società ibrida e la soluzione, che non è facile, non può che essere politica. La xenofobia è una patologia della politica. L'accoglienza è fisiologia, ma va governata».

Sono destinati a saltare i limiti tramandati dalla storia.

«Di fronte alla complessità di simili questioni è diventato urgente ripensare l’idea di limite, di cui si è in parte persa la piena consapevolezza, normale in altri tempi. Dobbiamo definire meglio l’estensione della nostra libertà e va calibrata meglio la gittata dei nostri desideri. A questo scopo sarà utile conoscere i molteplici e concreti aspetti dei singoli limiti, riscoprirne di volta in volta le ragioni, stabilirne i criteri di rilevanza e compiere un’attenta mappatura».

In questo scenario lei dice che le religioni stanno prendendosi la loro rivincita sulla modernità.

«È nelle cose. Guardiamo al successo e alla popolarità di Papa Francesco. Non parla ai romani di Trastevere, parla al mondo. I regimi cadono, le religioni no. L’uomo smarrito si rifugia nell'idolo. Nessuno crede più al “sole dell’avvenire”, i paradigmi diventano Padre Pio o la Madonna di Medjugorje. Anche nel passato centinaia di milioni di ex contadini - mossi da forme di religiosità arcaiche - hanno rovesciato le mentalità urbane formando sterminate megalopoli, modificando quindi i limiti, i confini delle civitates. Gli Stati, dal loro canto, non sono più in grado né di tutelare in misura sufficiente il benessere e la sicurezza promessi ai propri cittadini né di migliorare le condizioni generali di vita. Il capitalismo, che ha accresciuto le disuguaglianze sociali, ha deluso. Si assiste alla restaurazione dogmatica di fedi, mentalità e comportamento del passato, come nel caso dell'applicazione letterale della sharia che significa, appunto, ritorno alla strada battuta».

Scompare anche un altro limite: quello dell'età: vivremo fino a duecento anni?

«La morte progressiva delle cellule - e dunque la nostra - è dovuta al loro progressivo accorciarsi. Portiamo in noi vere e proprie bombe a orologeria, forse paradossalmente spontanee di suicidio programmato dell’organismo. Nel 1989 - l'anno del muro caduto a Berlino - è stato individuato l'enzima telomerasi che rallenta la progressiva riduzione dei telomeri. In seguito sono state avviate serie ricerche per introdurre questo enzima nelle nostre cellule in vista dell'accrescimento della durata media della vita umana. A partire dallo slogan “l'invecchiamento curabile” nel dipartimento di Genetica dell'università di Cambridge, Aubrey De Grey ha ideato ed elaborato un complesso insieme di procedure capaci di sconfiggere la vecchiaia mediante la riparazione del degrado cellulare, usando per esempio cellule staminali dalle quali siano stati tolti i telomeri. Secondo le ipotesi di De Grey, entro questo secolo, si potrebbe giungere a vivere duecento e più anni. Certo: vorrei sapere in quali condizioni questo avverrebbe. Però, dati i precedenti e lo status quo, la Sardegna e l'Ogliastra potrebbero diventare un ottimo laboratorio per la Long Life o il limite-età».

Ma i limiti non sono sono solo quelli rappresentati dalla frontiere fra gli Stati?

«Avete pensato alla soglia di casa? A sa làcana che in Sardegna fissa i confini della proprietà o dei territori comunali? Al limite invalicabile degli insediamenti militari? Alla linea gialla quando siamo in fila alla posta o in banca? Oggi anche le pareti domestiche sono diventate porose e la politica è entrata nel nostro limite privato. Ha invaso? No. È entrata. Come dicevo: è nelle cose. I migranti escono ed entrano, torniamo ai vasi comunicanti. Le migrazioni sono entrate nella globalizzazione che è diventata una delle principali cause di abbattimento dei limiti».

Tutto ciò avviene non con una crescita ma con quella che lei definisce l’infantilizzazione del pubblico.

«Basta vedere alcune fiction, alcuni programmi tv, anche i giornali talvolta. Non c'è qualità. Non c'è selezione. Non c'è approfondimento. Spesso emerge la banalità non la complessità. Siamo in un mondo complesso ma si tiene conto del semplice sponsor che compare ogni 15 minuti. La regola è divertire, distrarre, non informare, non formare. Eppure ci sono le eccezioni. I forum della poesia negli States sono sempre più seguiti. Alcuni serial tv sono fatti meglio di certi film. E la risposta c’è. Un limite al populismo c'è. Anche davanti alle migrazioni occorrerebbe dare più spazio a chi ragiona anziché a chi blatera».

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