La Nuova Sardegna

Scoperta nella Nurra la tomba di uno scolaro di 2mila anni fa

di Luigi Soriga
Scoperta nella Nurra la tomba di uno scolaro di 2mila anni fa

Nella sepoltura, all’interno della necropoli romana di Monte Carru, ad Alghero, è stato trovato un kit di scrittura

04 febbraio 2016
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SASSARI. La scoperta è unica nel suo genere sia in Sardegna che nella Penisola, ma è soprattutto affascinante per gli interrogativi che spalanca e la storia che abbozza. E la storia è quella di un piccolo e sfortunato scolaro, forse destinato a diventare uno scriba, vissuto quasi duemila anni fa in un piccolo villaggio agricolo della Nurra, non troppo distante da Alghero.

Lo scenario è questo: secondo secolo dopo Cristo, necropoli romana di Monte Carru, antica comunità rurale di Carbia. Nella tomba di un ragazzino morto all’età di 11 o 12 anni, viene ritrovato un set scrittorio completo: un righello in osso, un calamaio in bronzo, una spatola in ferro per spalmare la cera e una tavoletta ossea sulla quale scrivere. Le condizioni dei reperti non sono un granché, dal momento che il corpo e gli oggetti sono stati creamati. Ma quando gli archeologhi capiscono di cosa si tratta, non credono ai propri occhi. Infatti mai all’interno di una sepoltura di età romana, in Italia era stato rinvenuto un simile kit da scolaro. Al limite gli scavi hanno sempre restituito elementi singoli, il calamaio o il grafo, o magari in coppia. Ma non un armamentario così completo.

Per le studiose Alessandra La Fragola e Simona Minozzi a questo punto si apre la seconda parte del loro mestiere, forse quella più intrigante: lavorare in di controzoom, allargare la prospettiva, ricostruire dai dettagli uno scenario sociale. E infatti nel loro intervento pubblicato nel numero di dicembre della rivista specializzata “Archeo” gli interrogativi sono tanti: «Quante persone sapevano leggere e scrivere in un insediamento provinciale di età romana? E quanti bambini godevano del privilegio di venire iniziati all’arte scrittoria? Adesso sappiamo che tra i 350 individui sepolti a nella necropoli di Monte Carru e vissuti tra I e III secolo d.C. ebbe l’opportunità di farlo». E questo però può significare cose diverse: può voler dire magari che l’alfabetizzazione era più diffusa di quel che si pensi, oppure l’esatto contrario, e cioè che potersi permettere un kit scrittorio era un privilegio talmente raro da volerlo serbare per l’eternità. Se così fosse, allora il bambino forse era il piccolo di una famiglia agiata per il quale i genitori avevano disegnato un futuro lontano dai dai campi. «Il suo essere uno scolaro – spiegano Alessandra La Fragola e Simona Minozzi – rappresentava un segno di distinzione sociale in una comunità agraria. Era una posizione ritenuta importante e che doveva risultare ben chiare anche al momento di entrare nel regno di Ade».

Quindi il righello, il calamaio, la spatola e la tavoletta lasciati al suo fianco erano una sorta di biglietto da visita per l’aldilà: «L’intento evidente era di propiziare nella nuova vita ultraterrena il ruolo a lui dovuto, precocemente interrotto». La tomba, di per sè era piuttosto anonima, uguale a quella di altri bambini sepolti nella necropoli. Per questo motivo le studiose sono rimaste stupefatte dalla scoperta: «Le condizioni dei materiali erano davvero precarie. Dello stilo, forse in osso o in canna, non si è conservato niente, così come dell’eventuale pergamena su cui scrivere con l’inchiostro attinto dal calamaio. Tutto bruciato. – racconta Alessandra La Fragola – a una prima occhiata io stessa ho scambiato il righello in una ben più comune tessera lusoria. Quando po ho capito di cosa si trattava, ho sperato che i resti del vasetto di bronzo semicombusto e schiacciato fossero quelli di un calamaio. E così è stato. Quindi l’altro elemento bruciacchiato e malmesso poggiato poco distante poteva essere una spatola da cera in ferro. L'impugnatura suggeriva questo...». E così, frammento dopo frammento, è nata la storia del piccolo scolaro che non divenne mai scriba.

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