La Nuova Sardegna

Avventura sul palco Mezzo secolo di teatro raccontato da Faticoni

di Walter Porcedda
Avventura sul palco Mezzo secolo di teatro raccontato da Faticoni

Dalle difficoltà degli esordi fino alla realtà di oggi “Un delitto fatto bene”, i protagonisti e i fatti di un epoca

30 gennaio 2016
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di Walter Porcedda

«Tra la Sardegna e il teatro non è mai corso buon sangue». Rifletteva così Alberto Rodriguez, giornalista e critico musicale, uno dei pochi intellettuali sardi capace di leggere il passato recente e la storia dell'isola guardando più lontano. Un giudizio severo che sottendeva un sentimento amaro, legato alle difficoltà di costruire in queste latitudini una scena e un pubblico degni del nome. Anche per quelle cicliche e ricorrenti diatribe e divisioni che da sempre caratterizzano questo settore. A distanza di tanto tempo, erano allora gli anni a cavallo tra i Settanta e gli Ottanta, quel giudizio scettico e, per alcuni in parte ingeneroso, sembra mordere ancora l'attualità.

Una riflessione che torna drammaticamente all'ordine del giorno, con la pubblicazione del volume “Un delitto fatto bene”, lucida autobiografia dal fronte di Mario Faticoni, padre nobile della scena regionale. Il filo rosso che lega gli avvenimenti descritti e narrati in queste pagine – e resi anche visivamente dalle rare e preziose immagini fotografiche – sembra essere lo stesso che ha avvolto e tenuto insieme fatti e misfatti di oltre mezzo secolo del nostro teatro. Un lasso di tempo attraversato con passione da Faticoni che si è immerso fino in fondo in questa storia sporcandosi le mani, in prima persona. Compiendo, spesso in solitario, scelte coraggiose e controcorrente, oggi impensabili. Così come viene limpidamente raccontato nel libro: una microstoria fatta di frustanti ed estenuanti stop and go. Frenate improvvise e disfatte da cui era doveroso e necessario ripartire. Faticoni l'ha fatto.

Iniziando dai pioneristici avvii del Centro Teatrale Universitario nel 1959 a Cagliari assieme a Giovanni Sanna e Gianni Esposito. Le letture nello spazio della Lauc in Castello, nella via Università, che si alternavano alle jazz sessions suonate tra gli altri dal contrabbassista Marcello Melis e dal batterista Alberto Rodriguez. E infine il debutto in scena nel segno di Camus nel simbolico “Il malinteso” e subito a ruota in quello di Sartre de “Le mani sporche”. E poi via, altri allestimenti. Sette anni esaltanti fino alla nascita, nel dicembre del 1968, del Cit. Nell'atto costitutivo c'è una affermazione importante. Recita: “Il discorso del teatro in Sardegna, su un futuro Teatro Stabile, non può prescindere dalla presenza di un gruppo teatrale sardo di livello dignitoso, che svolga un'azione regolare e continua rivolta a creare una minima struttura teatrale stabile”.

Sono questi gli anni più importanti per la nascita del Teatro di Sardegna. I debutti difficili, il teatro Cantina e le ospitate all'Auditorium di piazza Dettori con incidenti di percorso come il sequestro del pretore nell'ottobre del 1969 del copione del “Woyzeck” di Buchner nell'allestimento del Gruppo Teatro diretto da Gian Franco Mazzoni, diventato un caso nazionale. Le stroncature “interessate” di chi allora aveva le mani in pasta nel gestire rudimenti di circuito e le prime crisi di crescita, il trasferimento dalla Cantina di Castello all'Auditorium di piazza Dettori. La scoperta di Br. echt (“L'Eccezione e la regola”), lo sbarco con successo a Sassari e l'esperienza giornalistica di Faticoni nelle pagine della “Nuova Sardegna”, “Tutto quotidiano” e altre testate.

Ecco gli allestimenti importanti come “Gli occhi tristi di Guglielmo Tell” di Alfonso Sastre, la contestazione, nata nelle file di chi, nascendo teatralmente allora, aveva bisogno di coltivarsi un nemico in casa. L'incontro con Francesco Masala e la nascita di un teatro “sardo”. Una stagione apertasi con “Quelli dalle labbra bianche” e che poi proseguirà con “Su Connotu”, forte atto d'accusa del colonialismo in Sardegna, “Parliamo di miniera”, etc... La costituzione della Cooperativa Teatro Sardegna, lo sbarco alla Biennale di Venezia nel 1976 e due anni dopo la delusione per il piano di Rinascita in “Carrasegare” di Masala e Mazzoni, gli incontri con Ruju e Marco Parodi che segnerà fortemente il Teatro Sardegna, “I dattilografi- Notte”. La crisi e l'addio al Cts nel giugno del 1983, nei giorni stessi in cui a Cagliari Tadeusz Kantor metteva in scena per i “Confronti teatrali” di Pierfranco Zappareddu “La classe morta”.

La fondazione del Crogiuolo, è un momento di rottura liberatorio e, nella vita artistica di Mario Faticoni, segna il momento del riscatto e della ripartenza, dopo il dolore e l'amarezza. Libero, senza pesi e sovrastrutture politiche e ideologiche. Il Crogiuolo è un centro che non è solo teatrale, ma politico, culturale e di vita. Con potente e magnetica capacità di attrarre giovani, diventa palestra di intelligenze ed estro consegnando momenti memorabili al teatro sardo, sia distribuendo spettacoli di qualità che producendo allestimenti al passo con l'epoca e la ricerca contemporanea. Questa resterà una costante in tutti questi anni fino al presente. Anche in mezzo ai marosi e alle tempeste il Crogiuolo ha sempre lavorato con cura all'allestimento di rassegne fuori dagli schemi di mercato, attente cioè nel raccontare il nostro presente. Solo per menzionare l'inizio e il presente basti citare il memorabile allestimento de “La Serra”di Pinter, passando negli anni straordinari della presenza di Rino Sudano, il fulminante “Dialogo” con la regia del compianto Luca Coppola e l'interpretazione di Faticoni e Carla Chiarelli, le tournèe nazionali di successo, l'allestimento di rassegne attente alla produzione locale, e il praticantato di giovani dal futuro teatrale e culturale (dagli attori Senio e Tiziana Dattena a Rita Atzeri, Gisella Vacca ed Elio Turno Arthemalle, dal regista cinematografico Enrico Pau ai giornalisti Massimiliano Messina e Vito Biolchini, quest'ultimo anche scrittore teatrale e autore del libro “Storie dell'Arco”, al costumista Marco Nateri, solo per citare alcuni), un bellissimo e forte “Scommiato” con Faticoni nei panni del patriota Vincenzo Sulis fino all'ultimo allestimento ispirato dal “Comunista” di Morselli, “La mia ragazza con l'occhio nero” con una interpretazione magistrale sempre di Faticoni.

Eppure, nonostante risultati straordinari, non mancano e continuano le difficoltà nel mettere radici in una casa teatrale, come l'incredibile storia del teatro dell'Arco dimostra e insegna. Una vicenda lunga una vita, puntigliosamente raccontata da Mario Faticoni in “Un delitto fatto bene”, un libro che mette a nudo tutta l'ipocrisia e l'indifferenza del potere nel confronto di chi ama e crede nell'opera culturale del teatro.

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