La Nuova Sardegna

I cibi del pastoralismo La storia millenaria del formaggio sardo

di GIULIO ANGIONI
I cibi del pastoralismo La storia millenaria del formaggio sardo

di GIULIO ANGIONI Le terre mediterranee sono di solito indicate quale luogo del primo apparire del formaggio come alimento umano, in coincidenza con la cosiddetta rivoluzione neolitica,...

20 gennaio 2016
5 MINUTI DI LETTURA





di GIULIO ANGIONI

Le terre mediterranee sono di solito indicate quale luogo del primo apparire del formaggio come alimento umano, in coincidenza con la cosiddetta rivoluzione neolitica, caratterizzata dalla domesticazione degli animali e dei vegetali. Nel Mediterraneo gli animali allevati per il latte e per i suoi derivati sono soprattutto ovini e caprini, spesso prima e più dei bovini e di altri animali come i camelidi e altri ruminanti. Tutto ciò è risultato o eredità di parecchi millenni di esperienze. Pecore e capre pare siano state le prime a essere addomesticate, circa 10.000 anni fa, alla fine dell’ultima glaciazione, in Mesopotamia gli ovini, negli altopiani iranici i caprini. Erano facili da domare e da allevare per il latte, la carne, la pelle, più tardi per la lana e forse, più tardi ancora, per i derivati del latte. Nelle terre circummediterranee per il formaggio nelle sue varie forme.

Nel mondo antico. La storia del formaggio mediterraneo mostra un crescendo in qualità e quantità a partire dall’antichità, poi al Medioevo, alla modernità e alla globalizzazione attuale. Prima dell’età moderna e contemporanea il formaggio sembra spesso cibo da poveri, compresi formaggi ormai da secoli considerati nobili prelibatezze come il parmigiano e il Camembert. Tutto il mondo antico mostra testimonianze dell’uso del formaggio, nell'Europa e nell’Africa mediterranee, come si legge sia nella Bibbia, sia nei poemi omerici e nei testi sacri egizi, ma anche nell’Asia non mediterranea. Già dai primi tempi neolitici certe terrecotte indicano usi di caseificazione. Il sumerico Fregio della latteria, del terzo millennio a.C. è considerato la più antica testimonianza della caseificazione, che tra l’altro mostra dei sacerdoti in veste di casari, come non di rado è accaduto altrove in fatto di sacralizzazione del formaggio e dei processi di caseificazione. È comunque tutt’altro che da escludere che forme e usi di caseificazione risalgano anche al Mesolitico e al Paleolitico, se non è solo fantasiosa l’ipotesi che il primo formaggio sia stato quello casualmente trovato in stomaci di animali in lattazione e consumati col resto della bestia, come si fa ancora oggi in Sardegna col formaggio cagliato nello stomaco di agnelli e di capretti, uso invece esplicitamente proibito nella Torà ebraica al pari di ogni altra mescolanza di cibi animali e caseari usati con alimenti e in contenitori di alimenti da tenere separati.

Tra vecchio e nuovo. Il formaggio mediterraneo è da tempo agente e risultato di globalizzazione. Oggi tanto i pastori sardi o greci all’antica, quanto i più sofisticati allevatori in stalla del resto d’Europa, manifestano a Roma o Atene e a Bruxelles. E ci si domanda che cosa resti nel Mediterraneo dell’antico mondo dei pastori, dopo la fine della società tradizionale e la mondializzazione dell'economia. Forse dell’antico mondo dei pastori mediterranei resta fin troppo, ma anche troppo poco. Guardando un momento al caso del pastoralismo sardo, si vede come un fatto che sia nuovo e capitale risulti già vecchio anche qui di oltre un secolo, cioè l’industrializzazione della caseificazione per produrre pecorino romano con latte sardo per il mercato mondiale.

Problemi economici. Da ultimo è venuto meno il premio all’esportazione del pecorino da parte dell'Unione Europea e di altre sovvenzioni da parte della Regione Sardegna, mentre diminuisce, con l’introduzione dell’euro, la possibilità ormai secolare di vendere il pecorino sardo-romano negli Stati Uniti d’America a prezzi competitivi, e il pascolo brado, che costava poco. A ciò si aggiunge il fatto che gli industriali del pecorino romano comprano a prezzi bassi il latte di pecora prodotto più o meno arcaicamente in Marocco o in Romania, anche contravvenendo alle regole delle denominazioni d’origine controllata. La pastorizia in Sardegna da millenni ha prodotto beni di consumo locale e materie prime per mercati anche non locali, e sempre più il formaggio. Dalla seconda metà dell’Ottocento nell’isola la produzione industriale del pecorino romano per i mercati esterni introduce e rafforza il monopolio della produzione e del commercio dello stesso, e insieme fa della pastorizia ovina una quasi monocoltura di vaste aree della regione. Già i bisnonni e i nonni dei pastori che oggi lamentano i prezzi bassi del latte, imposti da industriali ed esportatori di pecorino romano, si lamentavano dei prezzi del latte che conferivano ai caseifici dei casari laziali e abruzzesi installati in Sardegna da imprenditori continentali.

L’arrivo dei pickup. La struttura portante rimane la stessa, sebbene nel frattempo i padri di questi pastori abbiano tentato, in base a progetti regionali, di liberarsi da quel monopolio industriale e commerciale conferendo il latte ai tanti caseifici sociali cooperativi man mano falliti negli anni ’50 e ’60 del Novecento. La pastorizia, sempre più in stalla con mangimi industriali, meccanizzata nella mungitura e nel trasporto del latte in pickup giapponesi, gode sempre meno della crisi dell’agricoltura tradizionale, che nella seconda metà del Novecento lasciava campi e poderi all’irruzione dei pastori. Per questo motivo il pastore sardo ha occupato, spesso comprandole, terre-pascolo sia in Sardegna sia su vaste zone del Continente, in una grande transumanza sarda ultima e definitiva “Oltretirreno”, ma sempre dipendendo dagli industriali di mangimi e macchinari e altro, e a valle dipendendo dagli industriali del formaggio. I pastori hanno posseduto in modo vario le condizioni della loro produzione, dipendendo da altri per pascoli e foraggi, bestiame, impianti, mano d’opera, con figure vecchie e nuove di prestatori d'opera, servi pastori vecchi e nuovi, mentre oggi i nuovi servi pastori sono immigrati est-europei e maghrebini.

Quasi una beffa. Ma c’è, infine, una stranezza, quasi una beffa: e cioè che i sardi non hanno mai mangiato pecorino romano, in Sardegna non si trova in commercio, non s'è mai visto e non si sa quasi mai nemmeno che cos'è, mentre la maggior parte del pecorino romano fabbricato in Italia, specialmente quello da esportazione, è prodotto da latte ovino nell’isola.

© EDIZIONI ILISSO, NUORO, 2016

In Primo Piano
L’intervista in tv

Alessandra Todde: «L’Italia non è il paese della felicità che racconta la premier Giorgia Meloni»

Le nostre iniziative