La Nuova Sardegna

Liliana Cano regala la sua arte al vino Nepente

di Roberto Sanna
Il disegno di Liliana Cano per l’etichetta del vino Nepente
Il disegno di Liliana Cano per l’etichetta del vino Nepente

La pittrice sassarese ha firmato la nuova etichetta. Grande successo anche del progetto Odisseo

17 gennaio 2016
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La pittrice vagabonda non ha intenzione di fermarsi. Forse è per questo che Liliana Cano, 91 anni compiuti lo scorso ottobre, ha dedicato a Ulisse, il viaggiatore per eccellenza, il progetto itinerante denominato Odisseo che nei giorni scorsi ha vissuto a Sassari la sua prima tappa. La mostra si sposterà poi a Oliena, Cagliari, Roma e ad Arles, in Francia, nazione dove l’artista sassarese ha vissuto per diciotto anni. Nella tappa in Barbagia verrà presentato anche il disegno che caratterizzerà l’etichetta del Nepente della Cantina sociale di Oliena, un vino che fa parte della storia della Sardegna e per il quale Liliana Cano ha raffigurato una giovane donna che indossa il costume tipico del paese.

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Lo ha fatto solo per amicizia, perché il suo legame con il paese dura da decenni. Un innamoramento improvviso nato per caso: «Ero a Nuoro per inaugurare la mia prima mostra in città, nel palazzo della Provincia, e per celebrare l’avvenimento mi proposero di andare a cena a Su Gologone, nell’attuale struttura che era ancora in fase di ultimazione. Sono entrata quel giorno e non ne sono più uscita. E con la famiglia Palimodde abbiamo stretto un’amicia che dura nel tempo».

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Una frequentazione strettissima, che l’ha portata non solo a dipingere alcuni quadri che campeggiano nel ristorante ma anchel e sei pareti della chiesa di San Lussorio al centro del paese. E Oliena, per celebrare questo rapporto, le ha conferito la cittadinanza onoraria. Per questo creare l’etichetta del vino tanto amato da Gabriele D’Annunzio non è stato un grande sforzo: «Sono amici, me lo hanno chiesto, perché avrei dovuto rifiutare? Non ho avuto nemmeno bisogno di modelli per raffigurare il costume, ormai lo conosco a memoria». Più complicato, sicuramente, è stato arrivare a completare le opere del progetto Odisseo, ideato appositamente per il Centro d’arte Ulisse di Sassari dove sabato si è conclusa la tappa inaugurale. Dodici grandi tele, più un murale, create dopo aver letto e riletto diversi passi dell’Odissea ed essere giunta alla conclusione che Ulisse «va rappresentato come uomo, non come eroe. E così ho l’ho fatto nudo, ricoperto solo da foglie». Opere completate nella sua casa abbarbicata su una collina alle porte di Sassari, città nella quale è rientrata alla fine degli anni Novanta e dove aveva già vissuto una prima, intensa esperienza nell’immediato dopoguerra.

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Liliana Cano però è nata a Gorizia da genitori sardi e ha girato l’Italia nei primi vent’anni della sua vita seguendo il lavoro del padre, ingegnere, si è trovata nel Nord Italia a vivere i disagi della guerra: «Non ho perso un bombardamento, tutti ce li siamo fatti... Ricordo ancora il primo, di notte, uscimmo di casa in pigiama e vestaglia, ci riaccompagnarono a casa la mattina seguente in carrozza, in mezzo alla gente che andava al lavoro». Nel 1945 la famiglia rientra a Sassari e lei, già instradata all’arte e alla pittura, si trova in una grande stagione artistica con pittori come Costantino Spada e Libero Meledina. Facevano tutti base nello studio di Settimio Sassu in via Usai, . la sera qualcuno andava sempre a comprare la fainè nel forno di fronte e si tirava tardi tra grandi discussioni.

Una Sassari che Liliana Cano non ha ritrovato quando è rientrata nel 1996, dopo diciotto anni trascorsi in Francia e in giro per l’Europa: «Sono stata benissimo, ho fatto tante cose – ride –, a un certo punto però mi è venuto un brutto pensiero: avevo settant’anni, ho avuto paura che mi trovassero morta in casa senza nessuno. Io vivevo da sola anche in Francia, mi spostavo solo la domenica per fare qualche visita, in genere alle stesse persone. Insomma, ho deciso di rientrare ma non ho voluto prendere una casa in città. Volevo stare comunque per conto mio e poi non conoscevo più nessuno, Sassari l’ho trovata imbruttita. Non amo passeggiare per le strade, mi sposto solo per andare a casa di mio figlio Igino Panzino, in Largo Cavallotti, da lui sto bene. Sassari non mi piace, non è una città, non ne ha la dimensione e nemmeno la struttura, in Francia ho vissuto sempre in grandi città e non posso adattarmi. Cagliari sì che è una città, sicuramente non ha la Tartaruga. Parlo di quella sulla facciata del Turritania, come si fa a chiamare qualcuno da fuori per fare un’opera simile? No, non mi piace, non può essere bello un quadro con le finestre. Io butterei giù tutto e rifarei nel modo giusto quella che è la nostra porta, era l’occasione per farlo Sassari ha bisogno di avere un ingresso ampio e bello da offrire a chi arriva da Porto Torres, non possiamo presentarci così. Un’altra opera che non mi piace è la fontana di largo Brigata Sassari, perché strozza quello spazio. No, meglio da sola in campagna».

Così le tele di Odisseo e la donna sarda del Nepente di Oliena sono nate nel suo studio che domina una città che comunque nel 2006 le ha conferito il Candeliere d’oro speciale: «Al mattino mi alzo, sistemo i pannelli, comincio a dipingere e vado avanti per tutta la giornata, la sera quando sono stanca mi concedo un po’ di televisione, ma guardo solo programmi francesi. Dipingo con la musica in sottofondo, anzi a dire il vero faccio tutto con la musica, non spengo mai lo stereo, nemmeno quando dormo, metto solo il volume al minimo. Che volete, ormai mi è rimasta solo la pittura, le tele, i disegni, i quadri. E ogni tanto mi arrabbio pensando a quelli che comprano i quadri e poi abbinano l’arredamento della stanza ai colori di quell’opera. Non hanno capito nulla, il vero protagonista della stanza è proprio il quadro, è lui il padrone della scena. Si mangia tutto quello che c’è attorno, la parete, i mobili. Basta appenderlo e la stanza è già arredata, negli spazi intorno potete metterci quello che volete».

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