La Nuova Sardegna

“Abba S’Abba” di Gavino Murgia Suoni jazz per un canto popolare

di Walter Porcedda

CAGLIARI. Gavino Murgia afferma che “Abba S’ Abba”, l’opera multimediale presentata l’altra sera in un teatro Massimo gremito , è da leggersi come un “work in progress”. Fedele in questo, alla sua...

08 dicembre 2015
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CAGLIARI. Gavino Murgia afferma che “Abba S’ Abba”, l’opera multimediale presentata l’altra sera in un teatro Massimo gremito , è da leggersi come un “work in progress”. Fedele in questo, alla sua anima divisa di ricercatore etnomusicologo e di jazzista. Ed è vero che dalla sua prima stesura il progetto è cresciuto fino a diventare un’opera complessa e matura che meriterebbe di essere conosciuta ben oltre i nostri confini. “Abba S’Abba” intreccia infatti con finezza ricerca etnografica, musica e poesia. Dedicando all’acqua un’ode potente Murgia si è immerso nel flusso di tradizioni dimenticate e magiche (come quella di Benetutti con i bimbi che vanno per le case a riempire le brocche d’acqua per restituirla alla fontana) per dipingere un affresco di viva umanità. E limpida come l’acqua che scorre leggera e cristallina nei ruscon i suoi cento nomi.

“Abba mama, Abba crasta, abba mele, abbardente...” sgrana il rosario con il tempo spezzato di una ritmica rap Gianni Cossu, oratore dalla voce rotonda che cuce i versi e i “contos” scritti amorevolmente da Michele Pio Ledda.

Sugli schermi al centro della scena prendono vita le immagini disegnate in diretta nella lavagna da Licio Esposito. Sono pintadere, fiumi che scorrono e maschere che nello schermo accanto sono reinventati dalla sensibile ed evocativa video arte di Giacomo Verde: un forte richiamo alla contemporaneitàin grado di sollevare la cifra teatrale di questo lavoro che gioca con il profondo di una cultura millenaria.

Ed è al cuore che parla “Abba”, rimuovendo scorie accumulate nel tempo, pulisce una memoria intorpidita fino a mettere a fuoco i contorni di storiedimenticate.

Murgia lascia fluire parole, immagini e canti: Francesca Corrias qui mostra inedite potenzialità vocali, cantando in lingua sarda, così i formidabili Francesco Pintori in un “Passu torrau” e “Antonello Mura nei “gosos”. E naturalmente e soprattutto fluiscono i suoni di una musica liquida eseguita con rigore da Alessandro Garau, batteria, Salvatore Maltana, contrabbasso e Marcello Peghin, chitarre.

Murgia è capace di toccare tutte le corde dell’anima con i suoi fiati, il soprano soprattutto nel quale è diventato uno dei più apprezzati e fini suonatori jazz in Europa, ma anche la sua voce da tenore con il quale manda in estasi l’uditorio. Voce che usa come uno strumento a parte, improvvisando suoni onomatopei e bassi profondi. Uno “scat primigenio” che commuove per la sua misteriosa e ancestrale umanità. Da non perdere il 18 dicembre al festival “Rocce Rosse” (chiesa di S.Anna a Cagliari) la sua personale rilettura da “Officium”. C’è da scommettere che riuscirà ancora a stupire.

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