La Nuova Sardegna

Premio Vittorio De Sica all’avvocato "sardo" di Mastroianni, Fellini e Sophia Loren

di Giacomo Mameli
Premio Vittorio De Sica all’avvocato "sardo" di Mastroianni, Fellini e Sophia Loren

Giovanna Cau, originaria di Nughedu San Nicolò, è stata premiata dal ministro Dario Franceschini insieme a Zubin Mehta. Tra i suoi clienti tutte le grandi star del cinema italino compresi Alberto Sordi, Anna Magnai e Luchino Visconti

02 dicembre 2015
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ROMA. Ha ricevuto (a Palazzo Barberini) il premio Vittorio de Sica dal ministro Dario Franceschini. Con un sorriso ha sussurrato un semplicissimo “grazie”. Vicino a Giovanna Cau (92 anni compiuti lo scorso marzo, l'avvocato per eccellenza del cinema italiano, nume tutelare e legale di Federico Fellini e Marcello Mastroianni, Sophia Loren e Luchino Visconti, Anna Magnani e Alberto Sordi), gli altri premiati: il direttore d'orchestra Zubin Mehta, gli editori Giuseppe Laterza e Carmine Donzelli, Andrea Vitale e Alessandro Kokocinski e altre firme della cultura italiana.

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Il fumo di una Dunhill. Ieri mattina, dietro la scrivania di noce nello studio di piazza in Piscinula nel cuore di Trastevere, è tornata al lavoro usato fra telefono fisso, smart phone e computer. Sembra la sosia di un'altra star dello schermo, di quella Shirley MacLane, calamita di fascino. E si è confermata enciclopedia di storie. Fra le mani l'immancabile sigaretta Dunhill Smill («ma non aspiro»), anelli di pietre («non preziose»), bracciale in oro etrusco, una collana di perle («mi era stata regalata per la laurea in Giurisprudenza dai miei genitori»). Genitori lontani dalla Virginia di Richmond dov'è nato – 1933 – il mito dell'interprete di “Irma la dolce”. Papà Giommaria Cau (noto Mimmia), socialista e antifascista, era logudorese doc, nato nel novembre del 1887 a Nughedu San Nicolò. Di Nughedu anche mamma Filomena Leoni. Famiglia di rango: papà Mimmia, alunno del liceo Azuni di Sassari, laurea in Giurisprudenza alla Sapienza di Roma, dirigente alla Società delle Nazioni a Ginevra, consigliere al Bureau International du Travail, direttore generale dell'Inps, presidente di sezione del Consiglio di Stato.

La famiglia. Giovanna Cau nasce l’11 marzo 1923 a Roma, via Cernaia, zona stazione Termini. Famiglia di professionisti. La sorella Giacomina medico chirurgo, il fratello Mario ingegnere, l’altra sorella Teodora (Tea) chimico e direttore di un centro elettronico, Mirella anestesista, Antonio agronomo e professore universitario a L’Aquila, Franco dirigente Inps. «Tutti nati a Roma. Qualche raro viaggio in Sardegna. Mia madre diceva: si ammalerebbero di malaria. Presto dedicheremo una serata a papà, vogliamo che Nughedu si riappropri di un suo figlio. Lo ricorderemo a febbraio. Verrà a Nughedu mio nipote Vittorio, figlio di Giacomina: è preciso al nonno».

Ammazza che racchie. A questa diva legale del cinema made soprattutto a Cinecittà era stato dedicato un filmato (regia Marco Spagnoli) dal titolo “Giovanna Cau, Diversamente giovane”. Nei fotogrammi si legge un secolo di storia italiana, anche politica. Consigliera comunale a Roma, legata al Pci, dopo la laurea con Rita Montagnana moglie di Togliatti, Nilde Jotti, Laura Ingrao, Josette Lupinacci e Nerina Salba costituisce un comitato per il voto alle donne. Ricorda: «All'uscita da una riunione al Viminale un usciere disse: “Ammazza che racchie!”. Qualche giorno dopo la madre di Marcello Mastroianni, che accompagnava spesso il figlio sul set, sapendo che avrebbe girato con Brigitte Bardot, mi guardò e mi chiese se fossi io. A restarci basito fu Mastroianni. Ma io mi ripresi dalla choc-Viminale».

Con Franco Basaglia. Anni di avvio carriera e di passioni, si lega al compagno Emilio Benincasa Stagni, psichiatra passato dall’Ospedale Santa Maria della Pietà a Roma al team di Franco Basaglia. Ma è l'arte, soprattutto il cinema a segnare una vita. È d’arte botanica il muro esterno dello studio, nascosto da un tappeto d'edera. Nell’interno, alle pareti, quadri di De Chirico («quello a tecnica mista è il mio preferito»), sculture, ritratti di famiglia, tante foto con una giovane Giovanna Cau (in versione Colazione da Tiffany) vicino a Giulietta Masina, Vittorio Gassman, Jean Sorel. Nel filmato di oltre cento minuti di Donati – con la vecchia casa romana, le vacanze al mare nel golfo di Gaeta a Serapo – ci sono testimonianze esaltanti. Emerge lo spessore professionale e umano di una grande italiana. Tonino Guerra: «Non si può parlare del cinema italiano senza parlare di Giovanna, una maga, una professionista che ha curato gli interessi dei più grandi cineasti. Molti film sono stati influenzati dalla sua sapienza e sicurezza e dai suoi grandi sentimenti. La persona che certamente si incontrava più spesso era Mastroianni. È rimasto un meraviglioso rapporto di affetto e amicizia, ogni tanto ci chiediamo: “ma siamo ancora vivi?”».

Il vero Marcello. Paolo Virzì: «Giovanna è un avvocato in modo speciale. È una cineasta, protegge il talento degli artisti, non solo i loro interessi. Quando la vidi la prima volta pensai a un mastino che abbaia, che morde ma poi ho capito che è una dolcissima». Giuliano Montaldo: «Viene da chiedersi: è nato prima il cinema o la avvocatessa Cau? Giovanna è il testimone del cinema italiano». Montaldo svela un segreto: «Con Giovanna avevano proposto a un produttore Sacco e Vanzetti. Lui chiese se si trattasse di una ditta di import&export». Jean Sorel: «L'ho incontrata con Anna Maria Ferrero nel 1962. Era piacevolissimo andare nel suo studio. Guardava Mastroianni come una persona che si ama molto e che si conosce benissimo. Erano due “paraculi” che si sono amati e hanno sempre giocato tanto; lei lo guardava con amore, con tenerezza e senza illusione. Diceva che Mastroianni non si era mai innamorato di nessuno, non era il latin lover che si credeva, amava più il cibo delle donne». Ettore Scola (con la Cau a Palazzo Barberini): «Lo studio di Giovanna era una sorta di agenzia matrimoniale del cinema, si assisteva a fidanzamenti, divorzi. Una volta Fellini mi chiese proprio da Giovanna la complicità per andare a fare i “sepolcri”, non avrei dovuto rispondere al telefono perché lui aveva detto di essere con me. Gli chiesi di cosa si trattasse e mi spiegò che doveva incontrarsi con tre donne diverse di una certa età, per questo “sepolcri”».

Una bella vecchiaia. Squillano i telefoni. C'è una segretaria efficientissima. L'avvocato può rispondere al cronista: «Sono felice, continuo a lavorare grazie anche a una bellissima vecchiaia, quando si lavora si resta giovani”. Nel mondo del cinema c'è qualche difetto? «È mondo di precariato perenne, non esiste il contratto a tempo indeterminato e, soprattutto, si percepisce una pensione bassissima». Una soddisfazione fra le tanti professionali? «Il mio è stato il primo studio associato di avvocati. Eravamo in tre, dividevamo spese e lavoro, poco importava se uno lavorava più dell'altro. Continuare a lavorare a 92 anni è un privilegio pazzesco». E la Roma della Dolce vita? «Si sapeva tutto di tutti. Anche il tema del sesso era diverso, forse perché allora l'adulterio era punito. A Roma c'erano diversi luoghi per il peccato: uno era vicino a Cinecittà, in un locale con la scritta “Ristorante”, ci sono andata anche io in pellegrinaggio, ma poi non se n'è fatto nulla. Io non sono mai stata bella, forse spiritosa, ma bella no». Un desiderio da novantenne: «Continuare a lavorare. E restituire onore a mio padre. È stato un ambasciatore della Sardegna nel mondo. È giusto che i sardi, soprattutto a Nughedu, lo sappiano».

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