La Nuova Sardegna

Veleni all’Eurallumina: i vertici rinviati a giudizio

di Mauro Lissia
Veleni all’Eurallumina: i vertici rinviati a giudizio

Davanti al tribunale finiscono l’amministratore delegato e il direttore L’accusa: metalli pesanti dal bacino dei fanghi rossi all’acqua di falda

26 novembre 2015
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CAGLIARI. Sarà il tribunale monocratico a stabilire se i dirigenti dell’Eurallumina hanno provocato un disastro ambientale nell’area di Portoscuso e se hanno consapevolmente gestito un traffico di rifiuti industriali pericolosi per la salute. L’ha deciso il gup Lucia Perra, che ieri mattina ha accolto la richiesta del pm Marco Cocco e ha rinviato a giudizio l’amministratore delegato Vincenzo Rosiuno (66 anni) di Portici e il direttore dell’impianto metallurgico Nicola Candeloro (66 anni) di Francavilla a Mare. I due imputati - difesi da Luigi Concas, Pierluigi Concas, Carlo Sotgiu e Francesco Tonellotto - dovranno presentarsi il 24 marzo del prossimo anno davanti al giudice.

Le accuse: disastro doloso e concorso in traffico illegale di rifiuti speciali pericolosi, accusa riferita ai circa vent’anni in cui i due dirigenti hanno tenuto il timone dell’azienda. Il magistrato ha ammesso al processo quali parti civili nove cittadini del Sulcis che si ritengono danneggiati e il sindacato Css, tutti patrocinati dall’avvocato Riccardo Schirò, oltre all’associazione dei consumatori Sardegna tutelata dall’avvocato Filippo Viola.

Al centro del procedimento l’ormai tristemente celebre bacino dei fanghi rossi, da anni oggetto di proteste e di indagini. La Procura ha lavorato sul ragionamento che - in base alle risultanze processuali - avrebbe guidato i due dirigenti: se smaltire secondo la legge le acque di falda costa, è sicuramente più economico dimenticare che si tratta di un rifiuto pericoloso e cercare un aiuto politico per aggirare il problema evitando complicazioni. Per il pm Marco Cocco era così che si operava all’Eurallumina di Portovesme fino a marzo del 2009, uno stabilimento dove a leggere le carte processuali l’interesse aziendale prevaleva nettamente sull’esigenza di proteggere la salute dell’ambiente e di chi vive in quell’area devastata. La vicenda è stata raccontata nei dettagli: Eurallumina produceva acque contaminate da sostanze «irritanti e corrosive», un rifiuto speciale da trattare con cautela e osservando le prescrizioni di legge.

Per l’accusa Rosino e Candeloro erano perfettamente consapevoli del rischio, ma anzichè mettersi in regola avevano deciso di puntare a un aiuto politico. Dice Candeloro, in una conversazione telefonica intercettata con l’amministratore della Portovesme srl Carlo Lolliri, che sarebbe stato utile insistere in tutte le sedi perché l’acqua di falda non venga considerata un rifiuto «altrimenti ci inchiappettano». Ma il problema - a giudizio del pm Cocco - non è certo l’ambiente, quanto i carabinieri del Noe e la Procura della Repubblica: è il loro intervento che i due dirigenti temono.

Il caso però vuole che a marzo 2009 si rompa proprio una condotta dove scorre l’acqua di falda, il tubo che la porta dalla sala pompe della centrale Enel all’Eurallumina e da qui al bacino dei fanghi rossi. Il Noe interviene e rileva la presenza di metalli pesanti, fluoruri, manganese e arsenico in concentrazioni fuorilegge. Così per Rosino e Candeloro arrivano i guai.

Il rischio è palese: i metalli pesanti passavano dal bacino dei fanghi rossi all’acqua di falda, contaminando la laguna di Boi Cerbus fino all’abitato di Portoscuso e alla frazione di Paringianu. Pericolo serio, che Rosino e Candeloro conoscevano benissimo.

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