La Nuova Sardegna

La lezione di Ibnorrida: che bella la nostra libertà

di Roberto Spezzigu

L’atleta italo-marocchino (da 25 anni in Gallura) racconta il suo stato d’animo: «Si giustificano con la religione, ma sono persone spinte da chissà quale odio»

20 novembre 2015
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SASSARI. «Ho saputo quanto stava accadendo di terribile a Parigi mentre guardavo la partita della nazionale a casa e mi è venuta una grande tristezza. Sono rimasto sconvolto per questi fatti che non sono giustificabili in nessun modo». Morad, per tutti oramai Tore, Ibnorrida, dopo oltre venti anni di permanenza ad Olbia e in Gallura, («E’ dal 1990 che non ritorno in Maroccco»), si sente perfettamente integrato in Sardegna. Come lui Oualid Abdelkader e un’atra piccola pattuglia di atleti di origine nord africaca.

Ibnorrida lavora come operaio edile (in questi ultimi anni è impegnato nei cantieri della strada Sassari-Olbia) e lo sport è stato un fenomenale strumento di integrazione. Ha iniziato a correre da solo e poi è stato subito “inglobato” nel gruppo dei podisti dell'Atletica Olbia. Per un paio di anni è stato tesserato per l'Amsicora ma lo scorso anno è ritornato nelle fila della società olbiese e nell’ultima stagione ha colto una lunga serie di vittorie importanti imponendosi come uno dei migliori specialisti della corsa su strada.

Nato in Marocco nel 1976, venuto in Sardegna a cercare fortuna Ibnorrida si è subito sentito a casa. «Prima abitavo con i miei genitori e il resto della famiglia a Sassari e per un periodo a Bonnanaro. Poi ho fatto una scelta di vita e sono andato a vivere, aiutato da amici sardi, a Olbia».

«Non riesco a capire questo scontro di civiltà. E penso che non ci siano giustificazioni che tengano: questi sono pazzi che non sanno vivere. Ragazzi come me che compiono atti di questa gravità non sono persone equilibrate. Che altro si può dire?»

Per il giovane talento dell’atletica sarda «ha poco senso tirare in ballo la religione. Io non credo si possa ammazzare in nome di un Dio. Questi sono spinti da ignoranza e da chissà quale odio».

«Io sono credente a modo mio, ma non più osservante. Credo in un mio Dio ma rispetto tutti i valori religiosi, di qualunque fede, e penso che ognuno possa scegliere come ritiene giusto comportarsi sotto un aspetto così privato».

«La religione non può essere un obbligo per nessuno e nessuno può essere obbligato a comportamenti non voluti. Penso che non si possano imporre ad altri comportamenti sgraditi per motivi religiosi».

Dopo i fatti di Parigi è cambiato qualcosa nei confronti delle persone che come lei hanno una radice islamica? «Ad Olbia mi considero uno di casa. Però questi fatti hanno lasciato il segno ed è normale che in molti ci sia un po’ di diffidenza verso gli islamici in generale. Molte volte senza fare differenze. Io spero che questo momento passi in fretta. Siamo tra i paesi più civili in assoluto e queste, che definisco mele marce, stanno cercando di rovinare anni di buoni rapporti tra chi cerca, anche a Olbia e in Sardegna, di lavorare per l’integrazione. Spero che questi fatti non peggiorino i rapporti tra le due comunità. Ma sono convinto che il buon senso finirà per prevalere. E il buon senso, per fortuna, in quest’isola non manca».

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