La Nuova Sardegna

Centrali elettriche sarde senza «essenzialità»: a rischio 5mila posti di lavoro, appello al governo

di Silvia Sanna
La centrale termoelettrica nella zona industriale di Ottana
La centrale termoelettrica nella zona industriale di Ottana

Fiume Santo, Ottana e Portovesme: ventidue parlamentari scrivono al premier Renzi. Terna e l'Autorità per l'energia salvano solo l'impianto di Assemini, l'unico in grado di riaccendere la rete in caso di black out: ma l'Enel ne ha già annunciato la dismissione

13 novembre 2015
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L’aspetto più strano di tutta la vicenda è che si tiene in vita un malato terminale e si condanna a morte quasi certa chi, tra acciacchi e ripartenze, tira avanti con fatica. Nell’elenco firmato da Terna e approvato dall’Autorità per l’energia, l’unica centrale che nel 2016 godrà ancora del regime di essenzialità, è quella di Assemini. Un impianto del quale Enel ha già annunciato la dismissione e che – scrive l’assessore Paolo Maninchedda nel suo blog “Sardegna e libertà” – in un anno ha lavorato per due giorni e mezzo. Non solo: ha anche le autorizzazioni ambientali in scadenza.

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Niente da fare invece per le altre tre centrali: Ottana, Fiume Santo e Portovesme, stop ai contributi sulla produzione. La revoca è prevista dal 31 dicembre, per fare cambiare idea al governo c’è tempo sino al 27 novembre, quando l’elenco diventerà definitivo. Il pressing è forte e unitario. La politica si mobilita, a rischio ci sono 800 posti di lavoro diretti e almeno 5mila indiretti, dicono senatori e deputati isolani.

Giù le mani dalle centrali. Seconda lettera, dopo quella del governatore Francesco Pigliaru, che si è rivolto – chiedendo un incontro urgente – al ministro dello Sviluppo economico Federica Guidi e al sottosegretario Claudio De Vincenti. Questa volta l’appello è seguito da 22 firme, quelle di altrettanti parlamentari sardi che chiedono allo stesso ministro Guidi e al presidente del Consiglio Matteo Renzi di attivarsi per prorogare il regime di essenzialità.

Un appello trasversale, da destra a sinistra: «Il 1 gennaio ormai è davvero dietro l’angolo – si legge nella lettera – Nessuno, crediamo, vuole mettere in ginocchio quel poco di economia e di occupazione che resta in Sardegna. Se non si farà nulla, nei prossimi mesi nessuno potrà dire di non essere stato avvisato di fronte alle devastanti conseguenze». E cioè, spiegano i parlamentari, «senza la proroga dell’essenzialità le tre centrali sono a rischio chiusura. Con l’aumento del prezzo dell’energia per l’isola, almeno il 30 per cento in più, rischia di crollare tutto il manifatturiero sardo. In totale quasi cinquemila posti di lavoro e oltre un miliardo e mezzo di fatturato».

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Perché Assemini è salva. Terna ha una spiegazione sulla stranezza dell’unica centrale, in via di dismissione, tra le 7 che in ambito nazionale manterranno il regime di essenzialità. La ragione è di natura tecnica: la centrale termica di Assemini è l’unica in grado, in caso di black out, di garantire la riaccensione della rete. L’impianto – spiega Terna – presenta caratteristiche diverse rispetto alle tre centrali che ne fanno una struttura fondamentale dal punto di vista della sicurezza. Ma allo stesso tempo, dice la società «i lavori eseguiti nella rete elettrica isolana, per complessivi 800 milioni di euro, l’hanno resa decisamente più sicura e meno soggetta a rischi di black out».

Ecco la ragione della proposta di revoca dell’essenzialità: il provvedimento non è più necessario, sostiene Terna, perché sono venute meno le ragioni che lo giustificavano, cioè le inefficienze della rete. Ora le centrali isolane «sono in grado di operare alle normali condizioni di mercato». Con un vantaggio per i cittadini e le imprese che pagano la bolletta elettrica: addio «ai costi maggiori legati proprio all’agevolazione dell’essenzialità».

I dubbi. Una spiegazione che non convince. Dice Oriana Putzolu, segretario generale Cisl: «Non ha senso garantire l’essenzialità per un altro anno a una centrale in dismissione e revocarla alle altre intorno alle quali ruota un sistema produttivo». E l’assessore Maninchedda: «Dovremmo credere che dietro il regime di essenzialità ci siano solo ragionamenti tecnici e non invece un brutale calcolo economico?»

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