La Nuova Sardegna

Omicidio di Dina Dore, Francesco Rocca denuncia il giudice

di Valeria Gianoglio
Omicidio di Dina Dore, Francesco Rocca denuncia il giudice

Il dentista, condannato all’ergastolo per l'orribile morte della moglie, accusa il presidente della corte d’assise di intralcio alla giustizia

10 novembre 2015
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NUORO. «Il sottoscritto chiede, pertanto, che ove nei fatti esposti siano ravvisabili e configurabili reati, si proceda penalmente nei confronti dell’agente scelto, Cossu Antonello, e, se vi concorre, nei confronti del presidente della corte, dottor Antonio Luigi Demuro. Chiede di essere avvisato in caso di richiesta di archiviazione». Una condanna in primo grado all’ergastolo, con l’accusa di aver commissionato l’omicidio della moglie Dina Dore a Gavoi il 26 marzo del 2008, non lo ha fermato: Francesco Rocca, nonostante i lunghi mesi trascorsi in una cella di Badu ’e Carros, non ha alcuna intenzione di piegarsi alle decisioni di una giustizia che nei suoi confronti, ritiene del tutto ingiusta.

Così, nei giorni scorsi, si è presentato all’ufficio matricole del penitenziario nuorese, e ha depositato un “esposto-denuncia-querela” frutto di qualche mese di meditazione e studio delle carte processuali. Quattro paginette piene di riferimenti al processo di primo grado che alla vigilia della scorsa Pasqua si è concluso con la sua condanna all’ergastolo. Francesco Rocca, in quelle quattro pagine di esposto-querela, lo scrive in modo chiaro, che ritiene di essere stato vittima di una vera ingiustizia.

O meglio, ritiene che, sia uno dei testimoni che ha deposto al processo di primo grado in tribunale a Nuoro, sia il presidente della corte d’assise, abbiano, in una certa fase del processo, commesso un atto di “intralcio alla giustizia” perché il secondo, ovvero il presidente Antonio Luigi Demuro, secondo Rocca, avrebbe suggerito al primo, ovvero l’agente scelto del commissariato di Macomer, Antonello Cossu, la risposta a una domanda che per l’imputato era molto importante ai fini processuali. Per questo Rocca chiede alla Procura di indagare e di vedere se nei fatti che lui espone, «siano ravvisabili e configurabili reati» di rilievo penale.

Si riferisce a una udienza precisa, Francesco Rocca: è quella del 26 maggio 2014, quando in corte d’assise deponeva come teste del pm, l’agente scelto Antonello Cossu. Quel giorno, ricorda Rocca, nel corso del contro-esame, l’avvocato Mario Lai – che insieme ad Angelo Manconi difende Rocca – pone una domanda precisa a Cossu. Gli chiede «chi è questo amico?». Il legale vuole sapere chi è “l’amico” che Cossu aveva incontrato a Macomer il 2 novembre 2011perché, come lo stesso Cossu racconta poi in una sua relazione di servizio, doveva riferirgli «informazioni importanti circa l’omicidio di Dina Dore». Per la difesa di Rocca è molto importante sapere chi è l’amico di Cossu, perché la difesa ha sempre ritenuto che proprio quell’”amico” fosse colui che aveva indirizzato le indagini su Rocca per allontanarle da se stesso o da qualcuno che conosceva. Il fatto è che, alla domanda posta dalla difesa, “Chi è questo amico?”, Cossu non aveva risposto perché la risposta o la via d’uscita a quella domanda insistente, secondo Rocca, gli era stata suggerita dal presidente della corte d’assise, Antonio Luigi Demuro, che a Cossu aveva detto: «Ma è anche quello un confidente?», e Cossu aveva risposto «sì».

Fine dei giochi, dunque, dice Francesco Rocca. Con quel “suggerimento”, secondo il dentista di Gavoi, il presidente della corte d’assise aveva suggerito al teste una via d’uscita per evitare di fare il nome che la difesa stava inseguendo da tempo. Se quella risposta ci fosse stata, invece, aggiunge Rocca, «la giustizia avrebbe avuto corso diverso e ben si sarebbe pervenuti a conoscere la verità sull’omicidio di Dina Dore». «Quella risposta non rispondente al vero – aggiunge Rocca nel suo esposto – ha costituito un intralcio alla giustizia, intralcio che per il sottoscritto ha quantomeno compromesso il corso della stessa nella ricerca della verità», e impedito a chi veniva giudicato di difendersi interrogando chi, di fatto, lo aveva accusato del delitto».

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