La Nuova Sardegna

La Sardegna moderna Meticcia e plurilingue

di Giacomo Mameli
La Sardegna moderna Meticcia e plurilingue

Il saggio di Tonina Paba sull’isola durante il dominio spagnolo

10 novembre 2015
4 MINUTI DI LETTURA





CAGLIARI. Usa il linguaggio della psicoanalisi per invocare «un ritorno del rimosso». Riferimento ai quattro secoli di dominazione spagnola in Sardegna (1323-1720) perché su quel periodo «bisogna gettare luce per un recupero consapevole del loro peso e valenza», soprattutto «in una nuova prospettiva condivisa fra storici, letterati ed editori». È una rilettura del come eravamo firmata da Tonina Paba che – dopo la laurea a Ca' Foscari – insegna Letteratura spagnola all’Università di Cagliari e che nel 1996 per la Cuec aveva pubblicato «Il canzoniere ispano sardo». La storiografia sarda è stata «autoreferenziale, poco capace di rinnovarsi». Innovazione che, da autentico apripista, aveva introdotto lo storico sassarese Francesco Manconi e che oggi ha una autorevole conferma nel libro «Loas palaciegas nella Sardegna spagnola», pubblicato dalla Paba per Franco Angeli (230 pagine, 27 euro).

Manconi, nel libro «Una piccola provincia di un grande impero. La Sardegna nella monarchia composita degli Asburgo, secoli XV-XVIII» (Cuec, 2012) puntava a contestare con la ricerca negli archivi «un antico pregiudizio ideologico retaggio dei secoli passati», perché «è in epoca sabauda che prende corpo in Sardegna una speciale leggenda nera, una leggenda tutta regionale e ben differenziata dalla leyenda negra antispanica di origine europea». Riferendosi soprattutto al Siotto Pintor, a Pasquale Tola e a Pietro Martini, Manconi aveva scritto: «Rifugiarsi nei porti sicuri nella cultura erudita di autori appartenuti a stagioni culturali come il risorgimento e il fascismo non è solo pigrizia intellettuale ma il rifiuto delle nuove metodologie di ricerca e di chiusura verso il dibattito storiografico contemporaneo».

Tonina Paba si muove in questo solco. E lo fa radiografando testi di tipo teatrale . Le «loas» sono componimenti più leggeri delle commedie, cortigiani anziché no, venivano rappresentati nei palazzi del potere di allora, ad usum Domini. Propone opere di sette autori: Antioco Del Arca, sassarese, Josè Navarro non sardo, Josè Delitala y Castelvì e Juan Efis Esquirro, cagliaritani, Ignazio Paliacho di famiglia sassarese, e un «Dialogo» per la duchessa di San Germano. Di Delitala esamina quattro testi: uno per donna Teresa Pimentel, una «loa» per il re Carlo II, una terza per donna Antioga de Alagon e un'altra sempre per Carlo II raccolta nell’opera «Cima del Monte Parnaso». Infine una per il conte di Fuensalida. Testi inediti, trovati nelle biblioteche di mezzo mondo, dalla Hispanic Society of New York all’Institut del Teatre di Barcellona, la Biblioteca nazionale di Scozia a Edimburgo oltre alle biblioteca Caocci di Cagliari, quella universitaria, della facoltà teologica e della Camera di commercio. «Produzione – spiega Paba – che va contestualizzata nel panorama letterario europeo e nella fattispecie iberico che costituiva la linea d'orizzonte estetico e ideologico dei tanti autori ispano-sardi».

Dai generi letterari di quei tempi occorreva «togliere il gravame di pesante zavorra e anatema, vale a dire essere stati prodotti nella lingua sbagliata, la lingua spagnola degli oppressori». Sono diventate accessibili opere dell’algherese Antonio Lofrasso, citato da Cervantes, di Jacinto Arnal de Bolea, le poesie di Gerolamo Araolla e di Josè Zatrillas y Vico conte di Villasalto» .

Ma soprattutto lo sdoganamento letterario di questi quattro secoli va ascritto a merito di alcuni scrittori e storici intellettualmente liberi, senza benda. Sono loro – sottolinea Paba – ad aver «rivisitato quei secoli con argomenti differenziati e declinazioni personalissime». Aveva cominciato Sergio Atzeni nel 1986 con «Apologo del giudice bandito», seguito nel 2000 da «Pueblo» di Raffaele Puddu, proseguendo con Giulio Angioni che nel 2006 pubblica «Le fiamme di Toledo» ricordando Sigismondo Arquer. Si prosegue con la germanista Lia Secci che nel 2008 dedica uno studio al Castello di Quirra e a «Donna Violante», uno dei personaggi più intriganti e moderni del periodo. Un ruolo fondamentale lo ha avuto l'economista Pietro Maurandi che nel 2010, col suo «Hombres y dinero. Storia di passioni, congiure, delitti nella Sardegna spagnola» svela una Sardegna sconosciuta. Ha ampliato l'anamnesi spagnola il sociologo Nicolò Migheli che, nel 2013, pubblica «La vera storia di Diego Henares de Astorga».

Ecco perché l'autrice cita il «ritorno del rimosso». Che «prima o poi rivendica il proprio posto nella ricostruzione della personalità sociale e culturale dell'entità di turno. Nell'isola esiste una sorta di interdetto rispetto a quei quattro secoli, sui quali bisogna gettare luce per un recupero consapevole ed equilibrato del loro peso e valenza». Ed ecco il tributo agli storici (citati anche Bruno Anatra, Gianfranco Tore, Giovanni Murgia e Antonello Mattone) che hanno «intrapreso una indagine serena ed equidistante dalle parti in gioco, Sardegna e Spagna, tornando a lavorare negli archivi».

Il futuro? «La strada – dice Paba – è tracciata, tocca agli studiosi dei fenomeni letterari operare con lo stesso distacco. Il giudizio estetico potrà anche essere poco lusinghiero ma sarà il risultato di un esame e di uno studio condotti senza pre-giudizi di sorta». Un primo risultato, anche leggendo le loas, c’è: «La ricerca letteraria sta erodendo il luogo comune che individuava nell'epoca spagnola una sorta di medioevo buio. La Sardegna dell'età moderna era meticcia, plurilingue – sardo, catalano, spagnolo e italiano – al centro di traffici e correnti materiali e immateriali nel bel mezzo del Mediterraneo tra Spagna e Italia, ma anche linea di frontiera col mondo musulmano».

In Primo Piano
Elezioni comunali 

Ad Alghero prove in corso di campo larghissimo, ma i pentastellati frenano

Le nostre iniziative