La Nuova Sardegna

«Tenere aperte le carceri, scelta inutile e dannosa»

di Luigi Manconi e Valentina Calderone
«Tenere aperte le carceri, scelta inutile e dannosa»

Luigi Manconi e Valentina Calderone spiegano le tesi del loro libro-inchiesta Il volume presentato ieri a Buoncammino e domani a Sassari a San Sebastiano

08 novembre 2015
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«Abolire il carcere» è scritto sulla copertina di un nostro recente libro (e il sottotitolo recita così: «Una ragionevole proposta per la sicurezza dei cittadini»). E in un “carcere abolito” – finalmente chiuso dopo quasi un secolo e mezzo di vita e molti dolori -–presenteremo il nostro lavoro domani, lunedì 9, alle 18, proprio in uno degli spazi del vecchio penitenziario.

San Sebastiano chiuso è oggi un carcere non carcere. Una costruzione imponente e torva che – svuotata dei suoi abitanti, custodi e custoditi – sembra in attesa di una nuova vita e di un nuovo destino. Sembra dormire il sonno di chi, dopo una lunga ed estenuante malattia, mostra di chiedersi che ne sarà di lui, delle proprie quattro ossa, e della sua carcassa. Ma questo sarà oggetto della discussione pubblica e delle decisioni della cittadinanza e degli amministratori. A noi interessa dire perché ci appare così significativo presentare un libro sull'abolizione del carcere proprio all'interno di un istituto penitenziario dismesso: spesse mura, cancelli usurati, pavimenti calpestati migliaia di volte che, appunto, possono essere buoni ormai solo come luoghi in cui fare cultura, musei della memoria delle pene che furono, spazi prima inaccessibili vissuti da uomini reclusi, finalmente aperti e condivisi, restituiti alla città. Perché il carcere, se proprio volessimo decidere di salvarne qualche esemplare, dovrebbe essere questo. Un luogo di scambio, fatto di un costante dialogo con il territorio in cui è inserito, di conoscenza reciproca utile tanto a una parte – il condannato, il criminale, il detenuto innocente fino a prova contraria – quanto all'altra – il cittadino onesto, l'incensurato, l'autore di piccoli o grandi reati che però l'ha sempre fatta franca. Dato che, però, abbiamo più di qualche perplessità sul fatto che il carcere possa essere riformato, e diventare così un luogo civile, efficace e sensato, pensiamo sia inevitabile proporne con seriamente l’abolizione.

I motivi sono tanti e non riguardano solo una doverosa sensibilità umanitaria. Il nostro libro, e le argomentazioni che sviluppa, è invece pensato proprio per chi sta fuori dal carcere e per chi forse, la maggior parte di noi, in carcere non entrerà mai.

È una falsità comprovata che le pene detentive ci difendano da crimini e criminali. Una ricerca del ministero della Giustizia del 2006 ci fornisce un dato inequivocabile: chi sconta interamente la pena in carcere torna a delinquere nel 68% dei casi, mentre chi la sconta in detenzione domiciliare ha una recidiva del 20%. Ma il sistema dell'esecuzione penale ci costa 3miliardi l'anno, e di questa cifra solo il 2,5% viene utilizzato per le misure non carcerarie. Eppure, l’obiettivo di una politica della giustizia razionale e intelligente dovrebbe essere la riduzione del numero degli autori di reato, del tasso di criminalità, e l'aumento del livello di sicurezza collettiva, infliggendo sanzioni che siano efficaci e realmente deterrenti. Non è un caso che in altri paesi europei, Francia Gran Bretagna e Germania ad esempio, tra tutti i condannati solo un terzo finisce in carcere, mentre in Italia si arriva all'82%. E in questi paesi il tasso di recidiva è estremamente più basso.

Questi numeri forse non bastano, allora è necessario ricordare chi sono le persone che oggi affollano i nostri penitenziari: stranieri, poveri, tossicomani. Categorie deboli che avrebbero bisogno di cure, assistenza, accompagnamento al lavoro e integrazione sociale, non certo la reclusione in una cella. Se i problemi che li hanno portati in carcere non vengono risolti fuori (indigenza, abuso di sostanze, condizioni di vita precarie), è estremamente difficile che la detenzione offra loro prospettive diverse, una volta terminata la pena.

Ecco perché proponiamo, nel lungo percorso che potrebbe portare ad abolire il carcere, una serie di misure più che sensate e subito attuabili: ridurre le fattispecie penali e il ricorso alla carcerazione, incrementare gli altri tipi di sanzioni (pecuniarie, interdittive, riparative nei confronti delle vittime e della comunità), eliminare il carcere per le donne con bambini piccoli e per i minori. Il residuo di carcere che resterebbe, per quel 10% di detenuti classificabili come socialmente pericolosi dal ministero della Giustizia, potrebbe essere “smontato” poco a poco; e i livelli di sorveglianza cui destinare queste persone possono essere decrescenti, ma non si può continuare a punire indiscriminatamente senza offrire una prospettiva che contenga almeno un margine di speranza. Il carcere oggi è solo vendetta ed è questa idea, prima di tutto, quella da abolire. Ovvero quella da cui ci dobbiamo liberare.

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