La Nuova Sardegna

Uta, un detenuto muore in cella Disposta l’autopsia

Uta, un detenuto muore in cella Disposta l’autopsia

In una settimana due decessi e un tentativo di suicidio Cresce l’allarme nel carcere aperto meno di un anno fa

01 novembre 2015
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UTA. Un detenuto del carcere di Uta è morto per arresto cardiocircolatorio, sopravvenuto a un'emorragia interna. L'uomo, di 36 anni, di Quartu Sant'Elena, era rinchiuso da agosto nella struttura detentiva nell'area industriale di Cagliari. Secondo Gianfranco Sollai avvocato della famiglia del giovane, questi potrebbe essersi suicidato «assumendo una dose superiore a quella prescritta di psicofarmaci», se questo fosse confermato dall’autopsia disposta dal magistrato è certo «che potesse essere evitato garantendo maggiore sorveglianza».

«La morte di un detenuto lascia sempre aperti tanti interrogativi anche quando le cause, come in questo caso, sono naturali. È inevitabile infatti domandarsi se potevano essere individuati segnali premonitori dell'evento», lo ha dichiarato Maria Grazia Caligaris, presidente dell'associazione Socialismo Diritti Riforme. «Le prime indicazioni fornite dal direttore dell'istituto e dai medici, che si sono prodigati anche con il supporto del 118, per salvargli la vita fanno propendere per un arresto cardiaco. Ma si tratta della quarta morte a poco meno di 12 mesi dal trasferimento dei detenuti da Buoncammino. L'episodio inoltre si è verificato a 48 ore da un nuovo tentativo di suicidio e a una settimana dalla morte di un giovane di 21 anni. Eventi slegati tra loro ma che devono far riflettere sulla realtà di una struttura dove è molto elevata la percentuale di tossicodipendenti con disturbi psichici per i quali sarebbe necessario disporre di strutture idonee al recupero». «Il carcere , nonostante la buona volontà degli operatori e aldilà degli episodi imprevedibili - aggiunge Caligaris - presenta aspetti molto problematici. Occorre apportare le indispensabili modifiche migliorative all'organizzazione sanitaria, non ancora adeguata ai bisogni, e rafforzarel'impegno che deve caratterizzare l'esistenza quotidiana dei cittadini privati della libertà». «La distanza dai centri abitati - conclude Caligaris - non favorisce il reintegro sociale di chi ha sbagliato anche perchè i ristretti soffrono per l’abbandono».

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