La Nuova Sardegna

«Via il cemento dalle aree a rischio»

di Silvia Sanna
«Via il cemento dalle aree a rischio»

Appello di Legambiente alla Regione: «Demolire le opere incongrue e ricostruirle altrove». In ritardo i lavori anti-dissesto

15 ottobre 2015
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SASSARI. Di fronte alla natura che si ribella e si riprende ciò che le appartiene, mostrare i muscoli non serve. L’uomo sarà quasi sempre perdente. Per questo, dove è possibile, bisogna avere il coraggio di tornare indietro. Gli interventi tampone non bastano, non è sufficiente mettere pezze qua e là: l’ultima alluvione l’ha dimostrato, lasciando un fiume di fango negli stessi luoghi colpiti nel 2013. Secondo Legambiente, è necessario cambiare approccio e filosofia: significa demolire le opere incongrue – costruite accanto o sopra il letto di un fiume – e restituire ai corsi d’acqua il loro naturale percorso imbrigliato nel cemento. «L’isola è vulnerabile – spiega il presidente di Legambiente Vincenzo Tiana – le zone a rischio sono numerosissime. Per evitare di rivivere ogni anno lo stesso incubo è necessario un cambio di strategia».

Il rischio idrogeologico. Tiana e Giorgio Zampetti, geologo e responsabile scientifico di Legambiente, hanno fatto la fotografia di una Sardegna molto fragile. Dove in materia di prevenzione c’è ancora tanto da fare. I dati di Italia Sicura dicono che neppure la metà degli interventi contro il dissesto idrogeologico sono stati portati a compimento. Sono 169 in totale, per un importo complessivo di 168 milioni di euro. Sono tutti lavori di tipo strutturale, dalla sistemazione idraulica sino alla manutenzione straordinaria. Altri 190 milioni sono stati messi a disposizione dalla Regione – utilizzando il mutuo per le infrastrutture di 700 milioni – per l’assetto idrogeologico e la difesa del suolo. «Una scelta importante e da condividire – spiega Vincenzo Tiana – ma la strategia da adottare deve essere a lunga scadenza perché 50 anni di errori in questo campo hanno creato danni gravissimi».

La nuova filosofia. Demolire, ripristinare e, dove è possibile, delocalizzare. Ecco l’atteggiamento – attivo e non più passivo – di fronte alla natura che si ribella. L’uomo china il capo e si arrende alla legge del più forte. «Bisogna avere il coraggio di rivedere le scelte fatte, bisogna studiare a livello regionale una strategia per restituire il livello naturale alla rete idrogeologica. Delocalizzare e anche demolire le strutture a rischio idrogeologico» dice Tiana. Significa rimuovere le tombinature dai fiumi, rinaturalizzare i corsi d’acqua, fare in modo che fiumi e ruscelli seguano il loro percorso originario prima di scelte urbanistiche avventate e spesso suicide. Legambiente invita la Regione e i Comuni a intervenire in modo organico sull’assetto idrogeologico del territorio di tutta l’isola utilizzando gli strumenti urbanistici a disposizione come il Piano paesaggistico regionale (Ppr), il Piano di assetto idrogeologico (Pai) e i piani urbanistici comunali (Puc) che devono essere organici e armonizzati tra loro. «Servono scelte veloci e coraggiose per intervenire immediatamente sulle zone più a rischio, Olbia su tutte», aggiunge Vincenzo Tiana. In assenza di interventi organici integrati, secondo il presidente dell’associazione ambientalista il rischio è un utilizzo sbagliato delle risirse, regionali e statali. Fondi disponibili, da spendere con criterio e lungimiranza per evitare sprechi e soprattutto per raggiungere l’obiettivo primario, cioè la messa in sicurezza dell’isola e dei suoi abitanti.

Si alle ruspe. A Olbia il lavoro di demolizione è già iniziato. Via le opere incongrue, a iniziare dai ponti che impediscono il corretto deflusso dei corsi d’acqua. Demolire non sempre è possibile. In mezza Sardegna ci sono quartieri, a volte interi paesi, costruiti su canali tombati. «Ma dove si può – suggerisce Tiana – case, strade ed edifici siano delocalizzati». Costruiti altrove, approfittando anche degli incentivi volumetrici: più cubatura se il cemento atterra lontano dalle aree a rischio. E dove la natura non avrà niente da riprendersi.

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