La Nuova Sardegna

Il palcoscenico di Camilleri Storie, personaggi e lingua

di Alessandro Marongiu
Il palcoscenico di Camilleri Storie, personaggi e lingua

“Gran Teatro Camilleri”una raccolta per in novant’anni dello scrittore siciliano L’universo del narratore in “vigatese” interpretato dagli specialisti

12 ottobre 2015
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Il titolo non tragga in inganno: in “Gran Teatro Camilleri” (Sellerio, 258 pagine, 16 euro), di teatro si parla, ma en passant, ché dire dello «scrittore italiano nato in Sicilia», come ama definirsi, senza dire anche di regia, recitazione, platea e pubblico in sala sarebbe pressoché impossibile, essendo stato lui prima studente e poi per lungo tempo docente all’Accademia nazionale d’arte drammatica Silvio d’Amico.

In questo volume di saggi che il suo principale editore ha voluto dedicargli per i novant’anni appena compiuti, la parola “Teatro” indica piuttosto il palcoscenico: ma nel senso lato e più ampio del termine, quello di luogo in cui, dopo avergli dato vita con la propria immaginazione, si ha la possibilità di mettere in scena interi mondi.

“Gran Teatro Camilleri” equivarrà allora a “Il mondo di Camilleri” o, ancor meglio, a “L’universo di Camilleri”, per dar conto più compiutamente dell’ormai sconfinato numero di storie e personaggi che animano i quasi ottanta testi di narrativa fin qui pubblicati. C’è però un secondo motivo dietro alla scelta del titolo, e lo sottolineano diversi dei contributi raccolti, in particolare quelli che si occupano della prosa dello scrittore, la cui vicinanza all’oralità è oramai un dato acquisito, anche perché è qui che ne risiede l’origine: «Al padre, in ospedale perché gravemente ammalato, Camilleri racconta la storia di quello che sarà il suo primo romanzo, “Il corso delle cose”. «E mio padre: “Perché non la scrivi?”. “Eh, papà, perché in italiano mi viene difficile scrivere”. “E perché la devi scrivere in italiano? Scrivila come l’hai raccontata a me”».

Questa intuizione paterna sancì la nascita del cosiddetto «vigatese», la lingua in cui si esprimono nella quasi totalità dei casi la voce narrante e i protagonisti dei libri di Camilleri, che è poi quella – un misto di italiano e di dialetto – che si parlava quotidianamente nella sua famiglia. Tra i contributi di un certo interesse, si segnalano senz’altro quello di Tullio De Mauro (su «linguaggio ed ethos in Andrea Camilleri»), che offre una ricognizione sulla storia linguistica del Paese nel Novecento, e quello di Salvatore Silvano Nigro, che prende in esame la trilogia ispirata alle “Metamorfosi” di Ovidio e costituita da “Maruzza Musumeci” “Il casellante”, “Il sonaglio”, opere che lo scrittore considera a tutt’oggi il suo massimo risultato artistico. Il volume, nel complesso, è indicato a chi già conosca Camilleri; chi non lo conoscesse, può orientarsi verso due romanzi storici degli anni Novanta, “Il birraio di Preston” e “La concessione del telefono”: non sbaglierà.

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