La Nuova Sardegna

Nessuna vittima, quasi un miracolo

di Silvia Sanna

Un funzionario della Protezione civile rivela: «Le previsioni erano peggiori. Il ponte di Olbia? Una follia, giusto abbatterlo»

03 ottobre 2015
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SASSARI. Il giorno dopo, nello scoprire che nessuno si è fatto un graffio, il battito accelera. Un respiro lungo butta fuori tutto il peso delle cose non dette. Perché all’inizio della settimana, quando l’ombra del ciclone Mediterraneo si è affacciata sul satellite, il suo passaggio lasciava immaginare un disastro ben diverso. Non solo strade, case e campi allagati. Ma qualcosa di più simile a quanto accaduto due anni fa con Cleopatra. O nel 2008 e nel 2004, gli anni delle alluvioni di Capoterra e di Villagrande Strisaili. Gli esperti, quelli che sanno interpretare peso ed effetto di una macchia che si sposta sul monitor, avevano messo in conto che l’isola potesse piangere altre vittime. Nell’isola dell’edificazione selvaggia – dove per eliminare le storture urbanistiche servirebbe almeno 1 miliardo e 200 milioni – la quantità di pioggia prevista era di gran lunga superiore a quella arrivata tra martedì e giovedì. «Siamo stati fortunati, il ciclone ha scaricato in mare buona parte della sua forza», spiega Michele Chessa, funzionario della Protezione civile regionale, responsabile del settore che gestisce le emergenze. «Se le bombe d’acqua fossero arrivate sulla terraferma, metà dell’isola sarebbe finita sott’acqua – aggiunge Chessa –. Per quantità di precipitazioni, aspettavamo un evento simile a quello di Capoterra, quando in poche ore caddero 343 millimetri di pioggia».

Non solo fortuna. Ecco spiegato l’allerta massimo, l’invito pressante ai sindaci ad attivare tutte le procedure di sicurezza. «Siamo stati ascoltati. Nonostante il flop di domenica, quando le previsioni che annunciavano nubifragi nel Cagliaritano si sono rivelate errate, i sindaci hanno applicato la procedura alla lettera. Hanno chiuso le scuole, scelta giustissima perché oltre a proteggere i ragazzi hanno liberato le strade, limitando il passaggio di auto e persone. I sindaci sono stati eccezionali anche perché hanno subito attivato i Coc, i Centri operativi comunali. E con loro il contatto dalla sala regionale è stato costante, telefonate nel cuore della notte, controlli continui, spostamenti di uomini e mezzi».

Cittadini da applausi. Ma non sono solo i sindaci a meritare gli elogi. Se nessuno si è fatto male «grandissimi meriti vanno ai cittadini – dice Michele Chessa – che hanno seguito alla lettera le indicazioni, sono rimasti in casa e hanno abbandonato zone pericolose come seminterrati o cantine». Luoghi trappola, due anni fa. Oggi trasformati in piscine, ma non in tombe come nel 2013. Che i cittadini siano stati bravi lo si capisce anche guardando le fotografie: il passaggio di Cleopatra aveva lasciato una marea di auto a galleggiare, molte sugli alberi, tante con le ruote per aria. Oggi sono pochissime. Significa che anche loro sono rimaste ai box, al sicuro. Chessa dice che il sistema complessivo «ha funzionato bene nonostante fosse il suo esordio. Per la prima volta nell’isola è stato attuato il protocollo di allontanamento ed evacuazione preventiva. Una decisione presa dopo verifiche accurate sulla possibile evoluzione del quadro meteorologico e dopo confronti costanti e frequenti con la parte politica, l’assessore all’Ambiente Donatella Spano e il governatore Francesco Pigliaru, che hanno supportato l’attività di noi tecnici».

Gli errori del passato. È il ponte di Olbia il caso simbolo. Il tappo due giorni fa è saltato: «Finalmente», dice Michele Chessa. Già, perché quel ponte aggiustato con i fondi della Protezione civile dopo il passaggio di Cleopatra «non sarebbe mai dovuto essere costruito così. È impensabile realizzare una struttura a due campate strette che affondano nell’alveo di un fiume», dice il funzionario della Protezione civile. Che aggiunge: «Quando ho sentito che si era deciso di abbatterlo sono stato contento». E poi: «È incredibile che un ingegnere possa avere autorizzato un progetto del genere o avere autorizzato il collaudo dell’opera». Significa, secondo Chessa, che la lezione del 2013 non era stata compresa: «In una città come Olbia, dove si è costruito male e in zone proibite, anche un quantitativo basso di precipitazioni può provocare danni gravissimi. Un esempio: nel 2013 i millimetri d’acqua a Olbia furono 113, a Orgosolo 400 e tutto filò liscio».

Il futuro. Non potrà essere molto diverso. Per mettere in sicurezza la Sardegna – è stato detto a Olbia – servirebbe un miliardo e 200 milioni. Interi quartieri, a volte paesi, andrebbero cancellati e ricostruiti altrove. Lontano dall’acqua e dalle bizze della natura, che può decidere di riprendersi ciò che le appartiene.

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