La Nuova Sardegna

Idea secessione, gli indipendentisti sardi: «Sì al referendum, ma non ora»

di Luca Rojch
Idea secessione, gli indipendentisti sardi: «Sì al referendum, ma non ora»

La proposta di Mauro Pili compatta i partiti nella critica al leader di Unidos: «Serve un percorso che coinvolga il popolo per arrivare a ottenere uno Stato»

28 settembre 2015
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I quattro mori non sono quattro morti. Il mantra lo ripetono con sardissima convinzione i vertici dei troppi partiti che intorno al concetto di indipendenza hanno costruito la loro esistenza e la stessa fibra etica. Pronti alla battaglia per far diventare la Sardegna uno Stato. Ma ora quasi indignati nell’essere stati superati in indipendentismo da uno che fino a qualche anno fa gridava Forza Italia abbracciato a Silvio Berlusconi. Piace il referendum, non il metodo con cui viene proposto.

Mauro Pili, deputato di Unidos, promette l’indipendenza per via parlamentare, con una proposta di legge. Pili chiede l’indizione di un referendum che dia la possibilità di scegliere di staccarsi dall’Italia. Forse lui non lo sa ma un piccolo miracolo lo fa. Riesce a unire il fronte indipendentista. Contro la sua idea.

  • Spartito e orchestra

Nessuno ha il coraggio di dirlo, l’idea piace, anche perché in questi giorni suona la dolce musica catalana, ma è forse chi l’ha proposta che non gode del sostegno della già troppo affollata galassia indipendentista.

  • Costante resistenziale

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Pronti alla battaglia per avere l’indipendenza. Tutti sostengono che la via del referendum resti quella principale per liberare la Sardegna, ma contestano il metodo e la fuga in avanti del parlamentare di Unidos. Non tutti sono severissimi. «Mi sembra un’iniziativa necessaria – dice il segretario del Psd’Az Giovanni Columbu –. Mauro Pili ha fato bene a prenderla. Ma è indispensabile che una proposta simile sia condivisa. Tutti i gruppi politici sono convinti che sia arrivato il momento per un referendum. Ma si può crescere solo insieme».

Columbu lavora per creare una rete che possa tenere insieme la galassia indipendentista. Insieme alle ultime regionali sarebbero stati il primo partito con oltre il 30 per cento dei consensi. Divisi hanno raccolto solo briciole. «Nessuno dei singoli gruppi da solo può ottenere il cambiamento. L’unica soluzione è l’unità. I partiti devono convergere in un fronte comune».

  • I camminatori

Ma non tutti hanno tanto entusiasmo. La maggior parte dei leader dei partiti secessionisti parla del referendum, ma come il punto di arrivo di un percorso più lungo e ponderato. «Il referendum che porterà all’indipendenza è il punto di arrivo del Partito dei Sardi – spiega il segretario Franciscu Sedda –. Io un anno fa di ritorno dalla Catalogna avevo proposto di creare un luogo di elaborazione della strategia. Un tavolo della società civile che metta a punto il piano per arrivare al referendum. Perché serve un consenso trasversale. In caso contrario si fanno solo sparate che danno visibilità personale, ma servono a poco. Mi sembra che Pili abbia forse cercato più visibilità che sostanza. Lui stesso ha parlato di una soluzione complicata che richiede esperti di diritto per essere affrontata. Non si deve sbagliare. In caso contrario il referendum diventerebbe un’arma a doppio taglio. Serve un processo di maturazione lungo. Il consenso elettorale popolare all’indipendenza è un percorso che ha bisogno di tempo».

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Molto meno diplomatico è Pierfranco Devias, un altro leader dell’indipendentismo che traghetta “A manca”, il movimento che si è sciolto in un partito della sinistra indipendentista più ampio. Progetto in divenire. «È un modo di fare frustrante per due motivi – dice Devias –. Per prima cosa si va a fare una richiesta che verrà bocciata. L’effetto sarà la depressione generale. E viene fatta solo per dipingersi paladini contro lo Stato. Ma ipotizziamo che il governo impazzisca, diventi più furbo di te e ti conceda il referendum. La maggior parte dei sardi voterebbe contro l’indipendenza. Il motivo è semplice. Il referendum è un punto di arrivo. Si deve creare una coscienza. Dalla condizione di colonia all’indipendenza c’è in mezzo un lungo percorso. La Catalogna ne è l’esempio plastico. Il referendum è uno strumento che deve servire per spiegare in modo chiaro quali sono i rapporti di forza già consolidati e palesi. Ora questo nell’isola non esiste ancora».

  • I dubbiosi

Dalla Catalogna parla il portavoce dell’Irs Simone Maulu. «I referendum come accade in Catalogna sono processi democratici – spiega Maulu –, ma devono essere preparati. Servono contenuti politici. Oggi viviamo uno scontro tra una sinistra conservatrice, capitalista, e un’altra che è indipendentista e progressista. Io vorrei una repubblica sarda e indipendente. Ma è un punto di arrivo. La Sardegna oggi non è pronta al referendum. Dobbiamo portare avanti un percorso molto più lungo».

  • Il miracolo

Forse i duri e puri del sardismo storceranno il naso, ma la proposta di referendum di Mauro Pili un effetto lo ha ottenuto. Ha sdoganato l’idea tabù dello Stato Sardo. Fino a ora quasi un’eresia. E in un certo senso ha aperto un varco tra movimenti che sembrano avere difficoltà tra loro a dialogare. Ma tutti concordano su un punto. Troppo presto fare un referendum. Senza il reale consenso popolare il voto trasformerebbe davvero i quattro mori in quattro morti.

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