La Nuova Sardegna

Cagliari

Bellezza, fede, evasione: il mondo delle sorelle Altara

Alessandra Sallemi
Il foto-cartone che ritrae Edina alla mostra del Thotel sulle sorelle Altara
Il foto-cartone che ritrae Edina alla mostra del Thotel sulle sorelle Altara

Al Thotel sino a metà novembre la mostra di illustrazioni per riviste, abiti, collage ceramiche e intrecci delle artiste sassaresi Edina, Iride e Lavinia

21 settembre 2015
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CAGLIARI. La bella Lavinia accoglie gli avventori del Thotel nel suo vestito anni Dieci. E’ una scelta precisa aprire la prima mostra cagliaritana sulle sorelle Altara col foto-cartone che ritrae Lavinia perché Cagliari è la città dove si sposò e dove nacquero i suoi lavori artistici, rifugio spirituale dopo la morte di un figlio di 38 anni. La mostra resterà aperta sino a metà novembre, è intitolata “Altara” e racconta la storia di Lavinia, Iride, Edina, tre sorelle sassaresi che hanno lasciato un segno nell’arte sarda.

Edina era famosa, un’artista apprezzata che dava prova del suo talento già da bambina quando scriveva al padre, oculista nella Penisola, e gli chiedeva di guardare quel che lei aveva fatto «E’ la moda del 1908 e 1909»: nella teca del Thotel sono sparsi i ritagli di quaderno a quadretti con le figurine nitide disegnate a china, “mamma a passeggio”, “mamma al bagnetto”, “mamma a teatro”. Nella teca accanto, l’evoluzione di questa capacità di cogliere linee e dettagli: Il giornalino della Donna, i calendarietti profumati, bozzetti per Rakam che rivelano tutti la disegnatrice raffinata. Scene di caccia, donne esotiche, dive della Belle Epoque squadernate su un piano: più o meno così devono essere apparse al pronipote Federico Spano che un giorno ha cominciato a cercare nelle soffitte, nei cassettoni, presso i parenti i lavori non tutti conosciuti delle tre talentuose sorelle. E’ in questa ricerca che è emerso il “coté” modaiolo della famosa prozia Edina.

Nel 1915 Edina aveva già un nome e lo scoppio della guerra impedì l’apertura di una mostra del grande pittore Giuseppe Biasi dove anche lei avrebbe avuto uno spazio. E’ del 1917 il prezioso collage di carte colorate “Rose di Barbagia” e del 1920 “Il forestiero” che tanto piacquero al pubblico del nord Italia dove lei si era trasferita per trovare lavoro come illustratrice. Sposò Vittorio Accornero disegnatore, tra l’altro, dei foulard di Gucci, e quando si separò da lui aprì un atelier nella sua casa di Milano. Alcuni dei modelli di quegli anni sono stati tirati fuori dagli armadi di casa per testimoniare di questo filone creativo meno noto dell’artista Edina. Ancora una volta fu la guerra a interrompere l’attività.

La sorella Iride esordì in età matura. Sposata a un avvocato proprietario terriero riteneva di dover trovare una strada sua per esprimersi e anche per guadagnare. Il foto-cartone mostra una donna alta, fiera, elegante: quella donna iscritta alla Camera di commercio come artigiana produceva pezzi che vendeva all’Isola. Sulla parete accanto al suo foto-ritratto sono appese due bellissime testiere di letto fatte con un intreccio di palma nana e nella teca, tra gli altri, una cornucopia con fiori e draghi di pergamena disegnati a china.

Di Lavinia ci sono le terrecotte su castagno che negli anni Cinquanta piacquero a Giò Ponti il quale ne pubblicò le foto sulla rivista Domus, poi i quadri naif dipinti negli anni Settanta. Lavinia era anziana e i ricordi tornavano continuamente alla sua Sassari: l’Aida al Teatro Verdi, i giardini pubblici, la serata nel salotto di casa. La data della morte è vicina a quella dei quadri. Le tre sorelle collaboravano: le incantevoli mattonelle di ceramica che Edina modellava e dipingeva per il negozio “Margelli” di Sassari erano fatte con l’aiuto di Iride e Lavinia. Nel cartellone all’ingresso, gli organizzatori della mostra (oltre Federico Spano, Marco Nateri, Rossella Piras, TArt e Tramare) spiegano che le tre sorelle non fecero scuole d’arte, impararono da sole, «stimolate da una città - scrive la critica d’arte Giuliana Altea - che nei primi anni del secolo si andava aprendo alla modernità». Un altro messaggio della mostra.

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