La Nuova Sardegna

La croce crollò e uccise una donna Maxi risarcimento: paga la Curia

di Enrico Carta
La croce crollò e uccise una donna Maxi risarcimento: paga la Curia

L’istituzione ecclesiastica dovrà adesso versare ai familiari della vittima 1,5 milioni di euro L’incidente avvenne il 10 agosto del 2005: Paola Urru fu colpita mentre partecipava alla messa

10 settembre 2015
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MOGORELLA. La Curia è come un qualsiasi altro datore di lavoro. È equiparabile a un imprenditore e come tale ottiene utili e benefici dalla sua attività. Questo significa che, per qualsiasi tipo di infortunio che avvenga all’interno di un proprio edificio o propria pertinenza, è chiamata a risponderne direttamente.

Succede tutto dieci anni dopo la tragedia; sette anni dopo il patteggiamento del parroco di allora don Fabio Marras; sei anni dopo l’assoluzione dei componenti del comitato organizzatore della tragica festa di San Lorenzo del 10 agosto del 2005. Succede che il giudice della sezione civile del tribunale di Oristano, la dottoressa Enrica Marson, prenda una decisione quasi unica per la giurisprudenza italiana e condanni la Curia Arcivescovile Arborense a pagare il danno. Sarà l’istituzione ecclesiastica a dover risarcire per un milione e mezzo di euro i familiari di Paola Urru, la donna di 42 anni che fu colpita alla testa e uccisa dalla croce che si staccò dal timpano della facciata principale della chiesa durante la celebrazione della messa in occasione della ricorrenza di San Lorenzo.

Alla pesante croce in ferro erano state legate le classiche bandierine. I festoni che dovevano colorare la piazzetta fecero però da vela e con il vento che soffiava ebbero l’assurdo effetto di far precipitare la croce con il suo piccolo ma pesante basamento in cemento. Sotto, sulla soglia d’ingresso perché non aveva trovato spazio all’interno della chiesa, c’era Paola Urru, emigrata di 42 anni, originaria di Mogorella che era tornata in paese proprio per trascorrere quei giorni assieme al marito e ai figli di due e nove anni. Aveva la carrozzella in cui dormiva il figlio più piccolo a fianco a sé quando la croce le piombò sulla testa uccidendola quasi sul colpo e lasciando sul sagrato una chiazza di sangue e una tristezza che avrebbe spento ogni sorriso.

Inevitabilmente la morte portò come conseguenza anche l’apertura di un’inchiesta. Furono coinvolti sei componenti del comitato organizzatore e il parroco che però scelse di chiudere col patteggiamento la questione, probabilmente per non dover mettere l’istituzione di fronte a un processo. Eppure proprio quel patteggiamento ha dato il via alla causa civile, attraverso la quale il marito, i due figli e i genitori di Paola Urru chiedevano un risarcimento extra oltre ai 500mila euro ottenuti attraverso l’assicurazione.

Se don Fabio Marras aveva scelto di non difendersi al processo penale, nella causa civile la Curia, chiamata in causa dallo studio legale Libonati di Milano quale responsabile per il risarcimento del danno ai familiari di Paola Urru, ha scelto invece di dire la propria assieme alla parrocchia. Erano assistite rispettivamente dagli avvocati Marco Martinez, Federica Frau e Silvia Cucca che hanno provato a dimostrare che l’equazione poi adottata dal giudice in sentenza non dava il giusto risultato, perché la parrocchia è comunque un’entità autonoma e perché la sentenza del processo penale aveva chiarito che quanto accaduto non era prevedibile da chi aveva preparato le decorazioni. Invece no, la Curia, per il giudice, è come un imprenditore e una chiesa è come un cantiere di lavoro.

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