La Nuova Sardegna

L'assalto a campeda

Terrore sulla 131, rapine e droga nuova frontiera dell’aristocrazia criminale sarda

di PIERO MANNIRONI
Il blindato assaltato da un commando di rapinatori sulla statale 131
Il blindato assaltato da un commando di rapinatori sulla statale 131

Con la fine dei sequestri di persona la malavita si è riconvertita verso reati più remunerativi. Il “modello ogliastrino” degli assalti ai furgoni portavalori è stato esportato anche nella penisola

02 settembre 2015
5 MINUTI DI LETTURA





di PIERO MANNIRONI

Il sulfureo laboratorio criminale nel quale è stata studiata e affinata la tecnica dell'assalto ai furgoni portavalori è l'Ogliastra. È in questa regione dell'isola che la pianificazione e l'esecuzione della rapina è stata studiata e metabolizzata, diventando una vera e propria sapienza. Diventando un modulo di infernale efficienza che si sviluppa con una tecnica militare nella quale, oltre alla valutazione del rischio e alla velocità di esecuzione, sono contemplate alcune varianti legate al deragliamento dalle ipotesi previste. C'è, insomma, nell'organizzazione della banda, la capacità di affrontare anche situazioni legate all'imponderabile, fatti cioè imprevisti, ma per i rapinatori evidentemente non imprevedibili.

[[atex:gelocal:la-nuova-sardegna:sassari:cronaca:1.12019752:gele.Finegil.StandardArticle2014v1:https://www.lanuovasardegna.it/sassari/cronaca/2015/09/01/news/bonorva-assalto-a-portavalori-sulla-131-rapina-da-mezzo-milione-di-euro-1.12019752]]

Tecnica efficiente. Non è perciò un caso se negli ambienti investigativi si è parlato per anni di “modello ogliastrino”. Certo, l'assalto ai furgoni blindati portavalori non è “un'invenzione” della criminalità ogliastrina, ma è sicuramente qui che è diventata una tecnica spaventosamente efficiente. Sono le statistiche giudiziarie a parlare, indicando l'epicentro del fenomeno per anni tra Villagrande Strisaili e Talana. E non è certo un caso che proprio di questi due paesi sono i due fuorilegge Marcello Ladu e Raffaele Arzu, per anni considerati i cervelli più raffinati di questa tecnica criminale. Di più: le loro storie scellerate, finite in galera dopo anni di latitanza, dimostrano che il “modello ogliastrino” è uscito dai confini della Sardegna ed è stato applicato più volte nella penisola. Gli “emigranti del kalashnikov” hanno seminato il terrore soprattutto in Toscana, in Emilia e in Puglia.

I due cervelli. Il nome di Marcello Ladu, per esempio, è legato a quello che è considerato il colpo più feroce degli ultimi anni, quello di Copertino, in provincia di Lecce, il 6 dicembre del 1999. Si trattò un'operazione di guerra nella quale era stata gelidamente pianificata la soppressione dei vigilantes. In quel terribile assalto, che fruttò un bottino di un miliardo e 800 milioni di lire, rimasero sull'asfalto tre morti e tre feriti. Poi Ladu fu tradito dal boss della Sacra Corona Unita Vito Di Emidio, detto “Bullone”, suo complice nella rapina, che firmò la cambiale della collaborazione con lo Stato, proprio facendo il nome del fuorilegge di Villagrande e di altri due sardi. Difficile credere che Ladu fosse un gregario di Di Emidio, ma è altrettanto difficile pensare il contrario. L’impressione è che in quel contesto trovarono un ignobile equilibrio le strategie violente del boss della Scu e il silenzioso pastore ogliastrino.

Secondo quanto raccontano gli atti giudiziari anche Arzu e la sua banda hanno esportato la tecnica ogliastrina in Toscana e in Emilia, confermando la feroce efficienza del modulo. Arzu, considerato tra i trenta latitanti più pericolosi d’Italia, nel maggio 2013 è stato condannato dalla Corte d’assise di Perugia all’ergastolo per l’assalto alla filiale del Monte dei Paschi di Siena di Umbertide, che il 30 gennaio 2006 costò la vita al carabiniere Donato Fezzuoglio.

Il ricordo di Monte Maore. Per una tragica ironia del destino, proprio in Ogliastra, a Monte Maore, si consumò nel dopoguerra la più sanguinosa rapina della storia criminale sarda. Nel 1949 un numeroso gruppo di banditi attaccò il furgone che trasportava le paghe degli operai dell'Ente Flumendosa. I banditi utilizzarono addirittura una mitragliatrice pesante. Morirono tre carabinieri e un quarto rimase cieco. Il bottino fu di 9 milioni di lire, una cifra enorme per quei tempi. Ma nonostante alcuni terribili precedenti, come appunto quello di Monte Maore e quello di Sa Ferula, le rapine ai furgoni portavalori non sono mai stati una tipologia di reato caratterizzante della malavita sarda.

Erano infatti soprattutto i sequestri di persona il fronte sul quale si impegnava l'aristocrazia del banditismo sardo. E non è certo un caso che il ritorno alle rapine coincida proprio con l'esaurimento progressivo dei rapimenti, diventati ormai antistorici, poco remunerativi e ad altissimo rischio.

Sono le statistiche, con la logica fredda dei numeri, a delineare il cambiamento nel panorama criminale sardo. Leggendole si scopre che, fino al 1995, le rapine ai furgoni portavalori erano praticamente inesistenti in Sardegna.

Poi accadde qualcosa. La malavita sarda tentò una modernizzazione del sequestro, puntando sui “rapimenti lampo”.

Ma fu una stagione breve: quel tipo di reato, molto metropolitano, poteva essere infatti vanificato con semplici accorgimenti tecnologici. Strana coincidenza: è proprio in Ogliastra che si seguì questa singolare sperimentazione criminale.

Gli anni del cambiamento. Così, alla fine degli anni Novanta, i furgoni portavalori cominciano ad essere obiettivo della criminalità. Da allora a oggi sono stati ben 35 gli assalti avvenuti nelle strade sarde. Il gotha della malavita isolana sembra quindi essersi riconvertito, abbandonando definitivamente il “furto di uomini” e concentrandosi su un reato che ha sì un lungo periodo di gestazione, tra preparazione e pianificazione, ma che si brucia poi in pochi minuti, con l'aspettativa di un bottino enormemente più alto rispetto al sequestro di persona e con rischi infinitamente inferiori, anche in termini di pena.

Particolare non di poco conto è poi l’immediata disponibilità di una consistente massa di liquidità che può essere investita facilmente in affari lucrosi. Come il traffico di droga. Non è infatti difficile ipotizzare – come hanno fatto investigatori e magistrati in questi anni – che le rapine costituiscano soprattutto un sistema di finanziamento per attivare i canali di rifornimento di sostanze stupefacenti.

La verità è che oggi, nel magma ribollente che si agita nell'anima profonda della malavita sarda, si trova molto poco di quell'ambiente cupo della Barbagia e dell’Ogliastra delle faide e dei sequestri. Di quella piccola galassia chiusa di comunità nelle quali il tempo aveva quasi il senso di una metafora: storie di uomini e di donne che trascorrevano e che si esaurivano, lasciando tracce nella memoria di tutti.

Una mutazione genetica. Emerge sempre di più un fenomeno che, almeno fino a due decenni fa, sembrava semplicemente impossibile. E cioè che la criminalità sarda è mutata nel suo Dna: rapine e droga sono diventate un binomio inscindibile, segno di una modernità violenta che ha archiviato antichi codici e vecchie consuetudini. Oggi è prematuro ipotizzare un disegno della mappa della banda che ha colpito ieri mattina a Campeda. Ma una cosa è molto probabile: tra quei dieci fuorilegge ci potrebbe essere qualche ogliastrino o qualcuno che è cresciuto in quella scuola criminale che ha traghettato un mondo sotterraneo da un passato che sembrava immutabile a un presente che rende la Sardegna una terra sempre meno diversa dal resto del mondo e sempre più uguale alla banale ferocia del profitto. Annullando ogni confine, anche quello segnava una terribile anomalia.

In Primo Piano
La mappa

Sardegna 15esima tra le regioni per reddito imponibile, Cagliari la città “più ricca”

Le nostre iniziative