La Nuova Sardegna

Buona scuola, gli insegnanti precari sardi minacciano: «Invadiamo Roma»

di Stefano Ambu
L'assemblea generale degli insegnanti precari a Cagliari
L'assemblea generale degli insegnanti precari a Cagliari

Docenti riuniti in assemblea a Cagliari, si allarga la protesta: «Cortei coordinati con professori di altre regioni la prossima settimana nella capitale»

30 agosto 2015
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CAGLIARI. Nuoro, Oristano, Ogliastra, Cagliari e Sassari. La protesta dei docenti sardi che non vogliono lasciare l'isola con il biglietto di assunzione della Buona scuola si allarga. E sbarca a Roma con una manifestazione in programma la prossima settimana. Ci sono - nel frattempo - contatti con analoghi movimenti campani e siciliani: la rivolta sarda ormai è diventata un modello per tutto il Mezzogiorno.

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Perché questi sono i giorni più caldi, quelli delle chiamate che potrebbero cambiare la vita dei precari. Il 2 settembre molti docenti riceveranno la destinazione in posta elettronica. E vale tutto: da Caltanissetta a Pordenone.

Per molti - ma non per tutti - la scappatoia potrebbe arrivare sei giorni dopo, l'8 settembre, quasi un armistizio in questa guerra tra blocchi contrapposti, con la convocazione per le supplenze annuali: ma sarebbe comunque la tregua di una sola stagione.

La preghiera è sempre quella: fateci lavorare in Sardegna. «Non si possono sacrificare anni di disagio e i punteggi già acquisiti – ha spiegato Claudia Desole, docente di Sassari prendendo la parola nel corso degli Stati generali della scuola sarda convocati ieri, sabato 29,  nella sala convegni del T hotel di Cagliari su iniziativa del deputato di Unidos Mauro Pili coinvolgendo tutti i comitati in lotta. «Non si è tenuto conto del fatto che la Sardegna non è una regione come le altre: in diversi periodi dell'anno i prezzi di aerei e traghetti sono insostenibili – ha proseguito – E poi anche qui ci sono le minoranze linguistiche. Perché non possono valere per noi le regole che valgono per le Province di Trento e Bolzano e per la Valle d'Aosta?».

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Valutazioni analoghe arrivano anche dai loro colleghi di Nuoro e Oristano. La data del blitz a Roma non è stata ancora stabilita. Così come non è stato ancora definito l'obiettivo (la sede del ministero Pubblica istruzione?).

Ma ormai è una certezza. «Vogliamo un piano Marshall della Cultura. La Sardegna non è la Toscana – ha detto Pili – ma è un'isola, per giunta isolata».

Una scuola tutta sarda. Con prof e maestri sardi. È il principio ispiratore del manifesto approvato durante l'assemblea di ieri. In ballo – è stato ribadito – c'è sempre la petizione con cinquemila firme con la quale si chiede che la Regione impugni la legge con un ricorso alla Corte costituzionale.

Obiettivo: una deroga con richiesta urgente al ministro dell'Istruzione alle fasi (nazionali) B e C che consenta la regionalizzazione delle chiamate. Una modifica che eviterebbe i trasferimenti obbligatori nel resto d'Italia.

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Secondo le richieste elaborate nel testo di protesta, «la Regione potrebbe legittimamente avanzare una richiesta di almeno 3.000 nuove cattedre». Alla amministrazione si chiede anche che pretenda da parte dello Stato l'istituzione di una "Conferenza permanente di organizzazione e pianificazione della scuola sarda" con il coinvolgimento dei direttori scolastici regionali e provinciali e dei dirigenti scolastici della Sardegna.

«Nei trolley – ha detto Bianca Locci, portavoce del comitato delle Valigie del 10 agosto- abbiamo messo le angosce di questi mesi. E le speranze che le nostre richieste siano accolte».

Docenti estremamente decisi ad andare avanti con le proteste, quindi. Una professoressa che opera nel settore "ristorazione" all’istituto alberghiero ha assicurato che lei e i suoi colleghi sono pronti a scendere in piazza: e a far chiasso anche a suon di pentole.

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