La Nuova Sardegna

Nel seminario di Oristano la più antica “Carta de Logu”

di Enrico Carta
Nel seminario di Oristano la più antica “Carta de Logu”

Della preziosa cinquecentina esistono solo altre due copie a Roma e a Torino Conservata per secoli dagli Scolopi è oggi nella biblioteca arcivescovile

30 giugno 2015
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ORISTANO. Quando i catalano aragonesi ebbero modo di conoscerla nei dettagli, non fecero altro che prendere ispiurazione per far nascere un codice legislativo davvero al passo coi tempi. Ma la Carta de Logu, ovvero il codice di leggi scritto dai regnanti d’Arborea per garantire equità all’interno dei loro domini e successivamente esteso al resto dell’isola, maturò ben prima che Filippo II re di Spagna e la sua corte ne venissero a conoscenza attraverso il documento più antico oggi conservato in appena tre biblioteche di tutto il mondo.

Nell’anno del Signore 1567, quando Filippo II aveva ricevuto, da poco più di un decennio, dalle mani di suo padre Carlo V che abdicò nel 1555 una parte notevole di quello che era stato il più grande impero che il mondo conoscesse, i giuristi catalano aragonesi entrarono in possesso del più antico documento oggi esistente che riguardi la Carta de Logu.

Nella biblioteca del seminario arcivescovile di Oristano, già ricco di pezzi unici come incunaboli e cinquecentine, c’è quello che può essere considerato come il documento simbolo dell’identità e dell’unità sarda. È il commentario del giurista sardo – che gli spagnoli avessero lasciato fare questo lavoro a un sardo è una particolarità non da poco, quasi un riconoscere l’allora superiorità isolana nel campo del diritto – Geronimo Olives, che si fregiava del titolo di “avvocato fiscale” ovvero di giurista della corte del re. Il documento, conservato in copia originale contiene il testo del codice dei giudici di Arborea e di seguito le glosse, con le quali si commentavano passo dopo passo gli articoli della legislazione promulgata prima da Mariano IV e Ugone III, nella prima metà del 1300, e poi migliorata da Eleonora sul finire dello stesso secolo – secondo gli studiosi il grande lavoro sulla Carta de Logu fu effettuato tra il 1389 e il 1392 –. Appena tre decenni più tardi, la Carta divenne legge in tutta la Sardegna, dopo che nel 1421 nel parlamento di Cagliari, Alfonso re d’Aragona detto Il Magnanimo ne estese la giurisdizione alle altre zone dell’isola.

Dell’antichissimo documento del Seminario, capostipite di tutti quelli sulla Carta de Logu, esistono solamente altre due copie che sono oggi custodite alla Biblioteca Nazionale Centrale di Roma e alla Biblioteca Reale di Torino, città da cui arrivò il re Carlo Felice che nel 1827, oltre 400 anni più tardi, sostituì con il codice che portava il suo nome la legislazione di Eleonora e dei giudici di Arborea.

Il libro si è conservato grazie alla custodia che per secoli ne fecero i padri Scolopi che la acquistarono, come recita l’intestazione contenuta nel libro, da un non meglio precisato Collegio di Isili. Quando nell’800 furono soppressi gli ordini religiosi, questa edizione a stampa, una delle primissime in Sardegna visto che Gutenberg la inventò attorno alla metà del 1400, passò alla municipalità oristanese che però forse non ne entrò mai in possesso, perché dal canonico Aurelio Puddu morto nel 1968 passò direttamente alla biblioteca del Seminario arcivescovile. È qui che, seppur con fondi ridotti che arrivano dalla Cei, dalla Fondazione Banco di Sardegna, dalla Regione e dalla buona volontà dei rettori del Seminario che si sono avvicendati in questi anni, don Giuseppe Sanna e don Michele Sau, Antonella Casula, coordinatrice delle attività della biblioteca, e Adele Virdis che si occupa invece della catalogazione del fondo della biblioteca, proseguono l’opera di ricostruzione di un patrimonio inestimabile che nasconde altri tesori.

A catturare l’attenzione sfogliando le pagine della più antica Carta de Logu conosciuta, tra le altre cose, ce n’è una alquanto significativa: in un’epoca in cui il sardo veniva soppiantato dal catalano in tutta la documentazione ufficiale, oltre al testo in lingua originale ovvero la parlata del Campidano di Oristano ai tempi degli Arborea, è a sua volta in sardo anche il commento del giurista Geronimo Olives. Altro segnale che quel testo, che ispirò i legislatori aragonesi, aveva un valore che generava il rispetto che gli diede chi estendeva i suoi sconfinati domini su mezza Europa e su quasi tutta l’America del sud.

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