La Nuova Sardegna

Sassari in piazza contro omofobia e razzismo

di Massimo Dell’Utri
Sassari in piazza contro omofobia e razzismo

Domani il corteo, che partirà alle 17 da piazza Caduti del lavoro. E nei giorni scorsi un convegno all’Università

12 giugno 2015
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di Massimo Dell’Utri

Omofobia: la sua definizione è breve e semplice, come un rapido sguardo a qualsiasi dizionario della lingua italiana può rivelare. Si tratta della paura suscitata dall'omosessualità, o – per essere più precisi – dalla costellazione LGBT (il noto acronimo che indica le persone lesbiche, gay, bisessuali, transessuali e transgender). È una paura che trova un’immediata manifestazione nel linguaggio, e molto spesso con toni ingiuriosi. Una domanda sorge perciò spontanea anche in una persona dotata del più tenue senso morale: che fare per arginare un fenomeno così sgradevole?

Di questo si è parlato nei giorni scorsi in una tavola rotonda organizzata dal Mos, il movimento omosessuale sardo, moderata da Massimo Mele e ospitata nell'aula magna del Dipartimento di Scienze umanistiche e sociali. Il fenomeno dell'omofobia è stato così inquadrato grazie al contributo di studiose e studiosi di linguaggio artistico, giuridico e filosofico, di operatori e operatrici sociali, e di rappresentanti delle istituzioni, contributi da cui è emersa una pluralità di risposte alla domanda di sopra: che fare?

Fenomeno vasto. Una delle prime cose da fare è senza dubbio prendere coscienza dell’entità del fenomeno dell'omofobia. Istruttiva a tal proposito l'illustrazione che due psicologi clinici e dello sviluppo dell'Università La Sapienza di Roma, Maria Rosaria Nappa e Salvatore Ioverno, hanno fatto dei risultati di un’indagine sponsorizzata dal Comune di Roma e finalizzata a comprendere il fenomeno del bullismo omofobico nelle scuole. L'indagine (dal bellissimo titolo "lecosecambiano@roma") ha evidenziato come il 47% delle studentesse e degli studenti dichiara di sentire spesso espressioni omofobiche dai compagni di scuola e il 25% di aver sentito le stesse espressioni da insegnanti. L'8% poi dichiara di aver subito bullismo omofobico almeno una volta. Ecco dunque un’utile piattaforma per rispondere alla domanda «che fare?» e per individuare azioni volte a valorizzare le differenze e a combattere la dispersione scolastica derivante dall'uso dei linguaggi omofobici.

Cosa fanno i media? È opinione comune che i mezzi di comunicazione di massa, in particolare la televisione, abbiano un ruolo diseducativo. Come ha sottolineato Sonia Borsato, storica dell’arte e specialista di fotografia, la televisione trasmette una molteplicità di modelli comportamentali: ci “insegna” come dobbiamo fidanzarci, sposarci, come allevare figli e via dicendo. Ma, da attenta analista qual è, ha giustamente notato che non siamo vittime di immagini ineluttabili: dobbiamo imparare a usarle.

L'aspetto legislativo in materia di linguaggi omofobici è stato affrontato da Vilia Fiorillo, che ha analizzato il ruolo del legislatore e gli ostacoli che esso incontra in gran parte delle nazioni. È almeno dal 1994, ha osservato, che l'Unione Europea emana risoluzioni anti-omofobia, ma i singoli Stati sembrano faticare a rispondere con un'adeguata legislazione in materia. Vorrei fare allora un'affermazione provocatoria: queste risoluzioni dell'Ue mostrano che il diritto a venir tutelati contro i linguaggi dell’omofobia, e dunque a vivere serenamente il proprio orientamento sessuale, è già un diritto ampiamente riconosciuto, anche se non acquisito formalmente ovunque. Se non altro è riconosciuto per pura via inferenziale a partire dai principi fissati dalle Carte che costituiscono l'ossatura del nostro vivere civile.

Leggi e valori. Prendiamo ad esempio la Dichiarazione universale dei diritti umani promulgata dall’Onu nel 1948, il cui articolo 2 recita: «Ad ogni individuo spettano tutti i diritti e tutte le libertà enunciate nella presente Dichiarazione, senza distinzione alcuna, per ragioni di razza, di colore, di sesso, di lingua, di religione, di opinione politica o di altro genere», una formulazione echeggiata praticamente alla lettera dall'articolo 3 della nostra Costituzione o ancora dall'articolo 7 della stessa Dichiarazione dell'Onu. Tutte queste disposizioni contengono in modo “implicito” il diritto alla tutela contro i linguaggi omofobici. Perché allora permangono forti resistenze omofobiche? I motivi sono diversi, ma ne voglio indicare uno di carattere “metodologico”. Abbiamo visto all’inizio che centrale nel fenomeno dell'omofobia è la paura, un sentimento irrazionale motivato da un insieme di opinioni, valori, convinzioni, pregiudizi.

Parlare al cuore. Se le cose stanno così, allora nessuna argomentazione razionale, nemmeno la più ineccepibile sotto il profilo logico, riuscirà a scalfire una posizione omofobica evidenziandone l'inconsistenza morale. Non è una schiacciante dimostrazione logico-razionale che potrà far cambiare opinione in casi del genere, ma un confronto in cui larga parte ha la persuasione nel suo aspetto più alto e nobile. Se un interlocutore omofobico comincerà a mutare posizione, lo farà soltanto se avremo l'abilità di formulare argomentazioni persuasive che mirano alla sfera emotiva, e non solo alla ragione. Ecco: se riusciremo a capire questo, il tenore del nostro dibattito politico e la qualità delle nostre leggi non ne avranno che a guadagnare.

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