La Nuova Sardegna

L’isola è la terra promessa

di Silvia Sanna
L’isola è la terra promessa

In aumento costante il flusso degli arrivi, rischio caos nelle strutture

05 maggio 2015
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SASSARI. Quelli che arrivano sui barchini sono stravolti, infreddoliti, quasi increduli per essere riusciti ad attraversare il mare. Chi scende dall’aereo invece ha il viso più rilassato, perché sa già che in Sardegna troverà un letto, pasti caldi, un porto sicuro. Sono migranti, uomini e donne – spesso con bambini – in fuga da Paesi a pezzi. Tutti in cerca di un’àncora di salvezza e di un’opportunità. Ieri pomeriggio, ad Alghero, gli ultimi arrivi: 160 persone, in prevalenza nord africani, provenienti da Catania. Altrettanti erano arrivati poco più di due settimane fa. E altri sbarchi e trasferimenti sono attesi nei prossimi giorni. L’emergenza è continua, le presenze aumentano e superano le previsioni. L’isola è in affanno. E da qualche parte è già partita la rivolta. Oggi a Sassari l’argomento migranti sarà al centro del Comitato provinciale per l’ordine e la sicurezza che si riunirà in Prefettura.

Gli arrivi. Sono iniziati due anni fa. E da allora non si sono mai fermati. Ora la popolazione di profughi sfiora le 1500 unità. Quasi tutti uomini, pochissime le donne, ospitati nelle 33 strutture d’accoglienza allestite dell’isola. Quella più grande è il Cara (Centro accoglienza regionale autorizzato) di Elmas, che chiuderà entro la fine dell’anno. Molte altre sono state individuate con ricerche di mercato, poi per l’assegnazione si procede attraverso gare d’appalto. Quasi sempre vengono utilizzati ex residence, uffici giudiziari o ospizi dismessi: è quest’ultimo il caso di Valledoria, dove l’annuncio dell’arrivo di 94 profughi ha scatenato la protesta del sindaco Tore Terzitta, informato dalla prefettura quando la decisione era già stata presa. Saranno distribuiti nel nord dell’isola altri 80 migranti, la metà di quelli sbarcati ieri all’aeroporto “Riviera del Corallo”: 70 a Sassari, 10 ad Alghero. Gli altri 80 troveranno alloggio tra il Nuorese e l’Oristanese.

La procedura. I migranti arrivano già preparati. Quasi tutti sanno che per rimanere in Sardegna è necessario presentare la richiesta di asilo politico, poottenendo così lo status di rifugiati. Un dato è sorprendente. Spiega Salvatore Serra, vice prefetto vicario a Sassari: «Quasi il 95 per cento delle richieste non viene accolto. Nella stragrande maggioranza dei casi le commissioni verificano che non ci sono le condizioni previste dalla legge per concedere l’asilo». Per esempio: il migrante non arriva da un Paese teatro di guerra, dunque non è in fuga per mettere in salvo la sua vita e quella della sua famiglia. Ma nessuno, in ogni caso, viene “cacciato”. Sicuramente non subito dopo l’arrivo. Impossibile dare tempi certi, ma mediamente la permanenza nelle strutture di alloggio temporaneo dura circa un anno: è lì, nel rifugio sicuro, che i profughi attendono di conoscere il verdetto della commissione e, se negativo, la decisione finale del giudice al quale quasi tutti si rivolgono con la speranza di ribaltarlo.

I tempi si accorciano. Proprio perché il flusso è diventato continuo – ed è destinato ad aumentare con la bella stagione – si è deciso di tentare di accorciare i tempi di esame delle richieste. Per questo le commissioni sono diventate due: la seconda ha iniziato a lavorare poco più di un mese fa e come la prima opera su Cagliari. «La valutazione della richiesta – spiega il vice prefetto Serra – ora richiede mediamente 4 mesi. Dopo che la commissione ha emesso il parere, i tempi reali di permanenza sono legati a quelli dei giudici del tribunale». Nelle strutture. L’obiettivo è trovare un posto per tutti. Nei centri temporanei sono ammessi i maggiorenni, i minori vanno invece nelle case famiglia: se con loro non c’è almeno un genitore viene assegnato un tutor. Al momento in Sardegna ci sono 30 “Msna”, minori stranieri non accompagnati. La loro gestione è difficile: molti scappano e rintracciarli spesso è un’impresa. I maggiorenni invece sono liberi. Nei centri di accoglienza le regole sono poche. «Possono uscire e andare dove vogliono – spiega il vice prefetto Serra – dopo avere firmato quotidianamente il registro delle presenze». Alcuni escono e non ritornano. «Se l’assenza dura un giorno non succede nulla, può capitare. Se invece l’ospite non rientra dopo due o tre giorni la situazione cambia». Dal momento che si tratta di persone libere nessuno andrà a cercarlo, ma se decide di tornare dopo un lungo periodo è difficile che trovi ancora posto: il suo sarà infatti stato già assegnato a qualcun altro. Tanti di loro cercano di rendersi utili: ad Alghero un gruppo di rifugiati ha ripulito un tratto di spiaggia dalle alghe, in Barbagia aiutano gli agricoltori a tenere in ordine gli orti.

Le quote regionali. Ogni Regione è chiamata a fare la sua parte. Le quote di profughi da ospitare vengono stabilite dal ministero dell’Interno sulla base di due criteri: la popolazione residente e il numero di stranieri presenti. Il mix di questi due parametri si è tradotto, per la Sardegna, nel numero 2: è questa la percentuale di rifugiati assegnati all’isola. Non è una percentuale bassa, se si pensa che il Veneto ha il 4 per cento ma è popolato da quasi 5milioni di persone a fronte del milione e mezzo di sardi.

Le prospettive. Il flusso migratorio è in evoluzione. Per questo anche le quote regionali potrebbero essere riviste. La Sardegna per ora soddisfa le richieste. Ma presto le strutture potrebbero non essere sufficienti. Di recente il prefetto di Cagliari Alessio Giuffrida ha fatto un appello generale alla collaborazione. Fondamentale perché sulla solidarietà non attecchisca il caos.

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