La Nuova Sardegna

L’isola sotto il dominio di Diocleziano

di ATTILIO MASTINO
L’isola sotto il dominio di Diocleziano

Il quadro storico nel quale nasce una devozione destinata a durare nei secoli

01 maggio 2015
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di ATTILIO MASTINO

Con molta curiosità e interesse ho riletto in questi giorni per i miei studenti il testo più antico della “Passio di Sant'Efisio di Nora” dal Codice della Biblioteca Apostolica Vaticana, traducendolo dal latino: quello che colpisce è la ricchezza di una documentazione medioevale agiografica, che ci è pervenuta attraverso sei differenti versioni sulla morte del martire in Sardegna e che tende ad esaltare il coraggio di un soldato che per tanti versi ricorda il miles palatinus Gavino di Turris Libisonis, testimone della fede davanti all'’imperatore persecutore Diocleziano.

Anche se non c'è traccia alcuna del culto di Efisio nel Martirologio Geronimiano, gli studiosi non hanno dubbi sull'esistenza di un'area cimiteriale paleocristiana già di IV secolo dopo Cristo nel municipio di Nora, che ci ha restituito gli epitafi e i mosaici funerari di Lucifer, Fortuna, Respectus figlio del diacono Rogatus, ancora oggi conservati. Nella tradizione locale si conoscono molti altri testi perduti, non sempre autentici. I Vittorini si insediarono presso l'antica Ecclesia Sancti Evisi de Nora, solo dopo che le ossa venerate erano state trasferite alla primaziale di Pisa; furono loro a scrivere il testo della “Passio”, copiando pari pari il racconto della morte di Procopio di Cesarea, un martire soldato della Palestina.

Nato ad Elia Capitolina (la città fondata da Adriano sulle rovine del tempio di Gerusalemme), ammirato per la sua bellezza (“formosus et iuvenilis aetatis flore lucens”), inviato in Italia con un esercito con l'incarico di perseguitare i Nazareni, in Apulia Efisio assiste al miracolo dell'apparizione di Cristo che ricorda il “Quo Vadis ?” di San Paolo sulla via per Damasco. Si converte, viene battezzato a Gaeta dopo esser stato marchiato da una croce di fuoco, affronta una terribile tempesta, perde molti compagni e sbarca nel Portus Tharrensis, risale con le navi il Tirso e affronta in battaglia la “barbarica gens quae Sardiniam insulam tenebat”, che praticava l'idolatria e devastava il Campidano. Da un'improbabile Arborea raggiunge Caralis, “tempore illo civitas magna, populo et divitiis florens”, dove viene giudicato dai presidi Iulico (che cade ammalato) e Flaviano: quest'ultimo ha effettivamente governato la Sardegna negli ultimi anni di Diocleziano come testimoniano tre miliari di Olbia e di Mores. Distrugge gli idoli nel tempio di Apollo, viene sottoposto a torture ad opera del carceriere Terrentianus e decapitato 18 giorni prima delle calende di febbraio. . Presso la sua tomba si susseguono i miracoli: i ciechi riacquistano la vista, i lebbrosi vengo purificarti, i demoni vengono respinti, i sordi recuperano la vista, gli zoppi riprendono a camminare. La missione del martire sarà quella di pregare per il popolo di Carales e di proteggerlo “ab hostium incursu”, non si sa bene se dai Barbaricini o dai Saraceni. In questo quadro si inserisce il dubbio rapporto con il cosiddetto “Carcere di Sant'Efisio di Stampace”, che Mauro Dadea ha distinto dalla genuina tradizione martiriale norense.

La “Passio”, studiata da Pier Giorgio Spanu, conserva tracce più antiche come il titolo di “Stratilates-magister militum”, che per Raimondo Turtas richiama una tradizione di un santo soldato venerato in età bizantina presso il santuario semi-ipogeo di Nora. Il caso ha voluto che proprio in Barbagia, a Sant'Efis di Orune, ci rimangano le testimonianze, accanto alla chiesa cinquecentesca in rovina, di uno straordinario centro religioso paleo cristiano di IV secolo, che tra l'altro ci ha restituito di recente una lampada in vetro con la scena di Cristo che trasmette la sua legge ad una rappresentanza di sei apostoli: una scoperta che dobbiamo ad Alessandro Teatini, Fabrizio Delussu, Anna Maria Nieddu e che, se non riguarda direttamente il culto di Sant'Efisio tra i Barbaricini, pone molte domande sulla precocità dell'introduzione della fede cristiana tra gli idolatri pagani Nurritani, al piede dei Montes Insani e del Gennargentu.

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