La Nuova Sardegna

L’isola delle Torri La Sardegna si svela al mondo

di Giacomo Mameli
L’isola delle Torri La Sardegna si svela al mondo

L’esposizione al museo “Luigi Pigorini” rende onore al Sardus Pater, Giovanni Lilliu

08 dicembre 2014
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ROMA. La prima immagine (il nuraghe Mereu incastonato nel canyon del Supramonte fra Orgosolo e Urzulei con la forra di Gorroppu e il letto del Flumineddu) immobilizza tutti all'ingresso del museo dell'Eur, piazza Marconi, intitolato al paletnologo di Parma "Luigi Pigorini".

Nel nome di Lilliu. La mostra "L'Isola delle Torri" - voluta dalle due università sarde, dall'Accademia dei Licei e dalla Sovrintendenze - rende meritatissimo onore a un nume contemporaneo del Pantheon sardo, Giovanni Lilliu, nel centenario della nascita e a due anni dalla morte (19 febbraio 2012). Questa sardissima immagine che ha varcato il Tirreno - con rettangoli di calcari bianchi e il blu intenso del cielo - certifica l'epopea di quella civiltà di pietre che Lilliu aveva studiato più di altri e portato all'attenzione del mondo. Un’ immagine-must, che si impone ai visitatori (pochi, purtroppo, per la totale mancanza di una campagna promozionale) ma che ne rimangono stregati. Si chiedono se è ancora così. Sì, è così anche nell'inverno 2014. Questa Sardegna di dentro è come l'aveva costruita madre Natura, Sardegna immutata dalla notte dei tempi. Qui - Deogratias - l'uomo non ha potuto osare. Né devastare.

Nelle pagine di Lilliu, ci si addentra subito, attraversando anditi dove si certificano le "diverse culture dell'abitare tra sedentarietà e nomadismo", l'Eritrea ieri e oggi, il sicomoro degli Egizi, il lago Tana con "i raggi del sole che dardeggia implacabile". Tutt'attorno l'etnografia, la palentologia, l'archeologia degli altri Continenti.

Il continente Sardegna. Col piccolo Continente Sardegna che appare nella sua grandezza, ricco del suo passato misterioso. E con la figura di Giovanni Lilliu che, ancora col suo impermeabile color crema e il suo berretto, qui si aggira facendo da Cicerone ai visitatori di questo angolo del museo romano. Tante statue votive. Erano state acquisite nel luglio 1901 da Pietro P. Comida che le aveva dissepolte dagli scavi del nuraghe "S'Iscolca" di Ozieri. Pochi passi e, dopo il Logudoro, appare l'altare monotorre di Sant'Anastasia di Sardara. Dal Campidano si arriva in Ogliastra, alla magia di S'Arcu e is forros di Villagrande, età del bronzo finale del ferro, tre templi a megaron, sullo sfondo Punta LaMarmora, i ruderi di Sa Carcaredda. Qui - all'interno delle zone più interne dell'isola - l'attività era legata anche alla metallurgia. Si torna in Barbagia, fibule ad arco, navicelle con figure di cane di Sa sedda 'e sos carros di Oliena dove Lilliu tornava spesso e dove si arriva dopo aver goduto la giogaia della dolomia di Punta Corrasi e la vallata con gli olivi di Lanaitto. Scorrono sugli schermi i nove ambienti aperti con cortile centrali lastricati. Si decodifica quella che Lilliu definiva l'organizzazione sociale dei nuragici, avevano una loro cultura profonda, commerciavano e battevano chissà quali monete, forgiavano bronzetti e navicelle, scolpivano in altorilievo protromi di ariete, mufloni. In ogni ambiente un megaposter con le frasi del libro principe di Lilliu, "La civiltà dei sardi, dal Noelitico all'età dei nuraghi". I visitatori leggono dei nuraghi che "hanno il fascino della Sardegna, oltre la natura vergine e sconfinata" e di una comunità "per parecchi versi ancora misteriosa o difficilmente esplicabile con questo pullulare di torri in ogni parte dell'Isola". E ancora: "Nei nuraghi, in questo enigma già interpretato, culmina con portentosa evidenza una successione di eventi e monumenti che riguardano la peculiare civiltà dei sardi".

Il lavoro dei Sardi. C'è il lavoro dei sardi che modellavano legni e metalli, le pelli, la terra. C'è l'arte degli orafi e dei fabbri ferrai, di chi era gioielliere nella preistoria e creava gli ornamenti come le collane d'ambra trovate nel nuraghe Mela Ruja di Sassari, spilloni e fibule, esemplari provenienti da contesti funerari di Serra Niedda a Sorso, Romanzesu di Bitti, Gremanu di Fonni, Santa Vittoria di Serri, nelle tombe Moru di Arzachena, il complesso di Iloi a Sedilo, Palmavera di Alghero, Perda 'e floris a Lanusei. Immagini che evocano mondi magici. Stanza dopo stanza, in una Sardegna archeologica racchiusa in 300 metri quadrati, emerge la "spiritualità nuragica" coi reperti di Sa Carcaredda a Villagrande, di Janna Pruna a Irgoli, di Sirilò a Orgosolo, il Sulcis. Le tombe dei giganti "eroi dormienti". Il flagello della scarsità d'acqua, "risorsa sotterranea" che meritava "sacralità e riti" al centro di "un'isola sempre sitibonda".

I guerrieri e i pastori. La Sardegna rivelata ai romani. Quella pastorale e quella cerealicola. Quella dei guerrieri. La Fontana coperta di Ballao, il capolavoro di Santa Cristina di Paulilatino per documentare "una grande fissità di schema edilizio e di tipo costruttivo". Senza dimenticare la proposta "Digital Mont'e Prama" che propone sedici modelli di pugilatori. Ad altissima risoluzione si osservano in una stanza buio-notte gli arcieri. E appaiono come gli uomini, gli eroi, i giganti del passato dei quali nulla sapevamo e che solo ora stanno tornando alla luce. Sempre nel nome di Giovanni Lilliu che, con la sua autorevolezza scientifica e la sua umanità, fa parlare della Sardegna al mondo.

Bisognerebbe rileggere le pagine della "Civiltà dei sardi", imporle agli studenti e a una classe dirigente che del patrimonio culturale sardo nulla sa e per il quale nulla fa. Rivediamo la donna nuragica "in questa società di maschi nel corpo e nell'anima" dove "la donna porta una nota di gentilezza e di grazia ma anche di dignitosa e severa compostezza, talvolta di solenne muta tragicità".

La famiglia. "Clan, tribù sono governati dal patriarca. Quelli delle tribù sono i grandi patriarchi. I re sono re-pastori, come Priamo o Agamennone . I sardi di ieri - meglio di tutti - li ha cantati Giovanni Lilliu, Sardus Pater nato un secolo fa a Barumini, paese delle Torri, della reggia nuragica. Il Pantheon sardo del terzo millennio dovrà portare il suo nome.

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