La Nuova Sardegna

La resa dei conti in un Paese “malato”

La resa dei conti in un Paese “malato”

“Buonasera, dottor Nisticò” di Antonio Del Giudice: storia d’una caduta senza riscatto

30 novembre 2014
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SASSARI. Nisticò sa soltanto una cosa: è perduto, irrimediabilmente perduto ma, a quel punto, è ormai troppo tardi per disperarsi. Nel tirare le somme della sua vita, resta solo la precisa coscienza che i conti non torneranno mai.

Il "Buonasera dottor Nisticò" del titolo (edizioni Noubs, da pochi giorni nelle librerie) è per il protagonista un incipit e al tempo stesso un commiato, in questo secondo romanzo (dopo “La Pasqua bassa”) di Antonio Del Giudice, “pugliese errante”come si definisce lui stesso, per 40 anni giornalista professionista, dalla Gazzetta del Mezzogiorno a Paese sera, a L'ora di Palermo, caporedattore a Repubblica con Scalfari, vicedirettore della Gazzetta di Mantova, direttore del Centro d’Abruzzo del gruppo Espresso fino al 2006.

Quella di Nistico è una sorta di discesa agli inferi dopo gli splendori ambigui e avvelenati di una carriera da direttore di una importante banca di provincia, tra faccendieri, politici, imprenditori senza scrupoli e vescovi fin troppo realisti nel venire a patti con il Vangelo: una congrega di conoscenze e amicizie legate solo dall'interesse e dalla complicità. E poi, ecco una famiglia devastata ma decorosamente tenuta in piedi per pura apparenza.

La caduta di Nisticò da potente direttore di banca a paria evitato da tutti a causa di uno scandalo finanziario e giudiziario per il quale funge da capro espiatorio è narrata da Del Giudice dall'interno, con un ritmo incalzante e in crescendo, potente, muovendosi tra le macerie di quella vita disfatta . C'è un coinvolgimento sempre maggiore del lettore che, anche non volendolo, finisce per immedesimarsi in Nisticò e cercare per lui vie d'uscita da un labirinto senza sbocchi.

Nisticò è colpevole ma non più di tutto quel mondo che gli ruota attorno: tutti conniventi, con corrotta disinvoltura. L'intera provincia si regge su quel gioco di cui Nisticò è parte attiva, una rotellina determinante eppure facilmente sostituibile. Ed è esattamente ciò che accade. Caduto in disgrazia, è chiamato a pagare per tutti.

Del Giudice non fa sconti a Nisticò ma neppure a tutto ciò che lo circonda: dalla cosiddetta società civile alla famiglia che rancori, incomunicabilità e fantasmi del passato riducono a uno scenario passivo di disfacimento. In cosa crede Nistico? In nulla, ha solo il rimpianto dei figli, il rimorso di avergli dato non attenzione ma solo soldi e benessere che ora gli vengono rinfacciati. E' una storia di tradimenti: di se stessi e dei valori degli inizi, in una provincia vacua e immobile dove tutto alla fine si ricompone ma nulla e nessuno si salva. Del Giudice crea una macchina narrativa intensa e rarefatta, un dramma della memoria e del rimorso in una stanza chiusa, con il personaggio Nisticò che sembra quasi sgranare le sue "memorie dal sottosuolo" con il senso di una tardiva, e per questo inutile, espiazione.

Da Nisticò, da quella figura di potente abbattuto, Del Giudice estrae tutte le contraddizioni, le rabbie, le paure, un desiderio di riscatto che però in quella realtà sembra quasi inopportuno e sconveniente e quindi non si attua mai davvero se non, forse, nel finale: troppi e aggrovigliati sono i lacci che lo stringono e che stringono per intero quella città metafora di un intero Paese. Nisticò è un contro eroe, ha ben poco di positivo in sé, è il prototipo di un “dormiente” ben contento di esserlo che si risveglia solo quando imprevedibilmente il meccanismo di cui è parte ha bisogno di una vittima e capita proprio a lui, preso per pagare per tutti, punito perché nulla cambi e poi "perdonato" e dimenticato. Perché nella realtà di Nisticò (solo nella sua?) non c'è mai colpa definitiva nel giro delle complicità, un'uscita di sicurezza si apre sempre se si continua a tradire se stessi ma non il sistema, intoccabile perché ovunque. Un romanzo lucido, amaro e attualissimo: una ricerca dell'oblio in cui non c'è pentimento vero ma una sensazione di resa dei conti ineluttabile, solo la voglia di dimenticare e soprattutto dimenticarsi, un desiderio irrealizzabile.

Claudio Salvaneschi

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