La Nuova Sardegna

Morti per amianto, Oristano celebra il lutto cittadino

di Michela Cuccu
Morti per amianto, Oristano celebra il lutto cittadino

L’indignazione dopo la sentenza della Cassazione su Casale In provincia, fino agli anni ’90, erano in funzione 2 fabbriche

22 novembre 2014
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ORISTANO. «Ad oggi i morti d’amianto nel nostro territorio sono stati non meno di 30». Spetta a Giampaolo Lilliu ex sindacalista della Cgil, oggi presidente provinciale dell’Areas, l’associazione che a livello nazionale riunisce gli ex esposti all’amianto, fare la conta dei lutti provocati dall’eternit. Ieri a Oristano era lutto cittadino, proclamato dal sindaco Guido Tendas, che in accordo con l’associazione degli ex esposti ha scelto questa forma, dignitosa e solenne, per manifestare disappunto per l’annullamento da parte della Cassazione della sentenza sulla vicenda della fabbrica di Casale Monferrato.

Un passo obbligato, la protesta da parte del Municipio del capoluogo: la provincia di Oristano, infatti, in Sardegna era la zona di maggior concentrazione di fabbriche per la lavorazione dell’amianto. Due fabbriche pericolosissime a pochi chilometri di distanza fra loro: una in città, la Sardit; l’altra poco più a sud, la Cèma sarda, a Marrubiu.

Vennero chiuse quasi contemporaneamente, nei primi anni Novanta, dopo che la messa al bando dell’amianto e dei suoi derivati, era diventata legge dello Stato. Ma prima del 1992, quando il Parlamento italiano decretò che quei materiali non dovessero più essere prodotti, l’eternit nell’Oristanese era sinonimo di progresso. «Davano lavoro stabile e, fra quegli operai, c’ero anche io», racconta Giampaolo Lilliu in un attimo di intervallo dall’audizione alla Camera dei Deputati che ha voluto sentire l’associazione degli ex esposti. La Sardit di Oristano nacque a cavallo fra il 1969 e il 1970 «quando già si parlava di morte per mesotelioma, e quando a Casale Monferrato la protesta era diventata partrimonio di tutti. Non solo degli operai che chiedevano di poter lavorare in sicurezza e non essere costretti, col contratto di lavoro, a firmare la propria condanna a morte – dice Lilliu – anche il Comune della cittadina piemontese protestava, e in forma ufficiale. Insomma, si sapeva, ma qui, a Oristano, si faceva finta di nulla. E la costruzione della Sardit (per il 30% di proprietà proprio di Eternit) andò avanti comunque, risultato di una totale assenza di politica sugli insediamenti industriali». Giampaolo Lilliu oggi ha 64 anni, ma quando iniziò a lavorare per la Sardit, nel 1973, era poco più che un ragazzo. Racconta che le battaglie per ottenere condizioni di lavoro più sicure arrivarono anni più tardi «quando ormai la salute di molti nostri colleghi era già compromessa», dice. Ricorda «quando nel cortile dello stabilimento scaricavano l’amianto da lavorare noi restavamo affascinati. Era candido, e durante gli intervalli del lavoro salivamo sopra quelle montagnole bianche e giocavamo a tirarci addosso palle di quel materiale, come se fosse stata neve». Poi la scoperta, agghiacciante, della estrema pericolosità di quel materiale, le lotte sindacali, la legge che ha chiuso le fabbriche. E oggi, le morti.

Nel frattempo l’associazione prosegue la battaglia per ottenere riconoscimenti più ampi, estesi ai familiari dei lavoratori che sono stati a contatto con l’amianto e agli abitanti dei centri vicini alle fabbriche, più controlli sanitari e la bonifica dell’amianto. «Il picco dei casi di mesotelioma pleurico, secondo gli studi sanitari, inizierà adesso. Forse, fra quei malati, ci sarò anche io», conclude con un filo di voce, Giampaolo Lilliu.

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